Dalla vulvodinia all’endometriosi: quando il dolore delle donne è senza voce e pieno di pregiudizi

In occasione della Giornata nazionale della Salute della Donna, che si celebra il 22 aprile, dal 20 al 26 aprile si svolge la settima edizione dell'(H)-Open Week con l’obiettivo di promuovere l’informazione, la prevenzione e la cura al femminile. E intanto noi proviamo a sfatare qualche mito...

Sei esagerata, drammatica, iperansiosa. Sei ipocondriaca, con la soglia del dolore bassa, devi farci l’abitudine.

Nell’anno 2022 ancora noi donne ci sentiamo dire cose simili. In famiglia, in uno studio medico, in un ospedale. Come se il dolore fosse qualcosa di ordinario che ci spetta. Come se – in fondo – fossimo noi le patetiche depresse in cerca di appoggio. Quell’appoggio ci serve, certo, ma non può prescindere dall’ascolto reale e tangibile. Quell’appoggio ci serve, certo, ma a pari passo con quello di uno specialista che capisca e dia una diagnosi certa, definitiva e in tempi rapidi.

Tutto ciò serve, serve eccome, per guardare avanti, vedersi riconosciuto quel dolore come qualcosa di realmente esistente.

Non siamo pazze, non siamo “con la soglia del dolore bassa”. La totale assenza di sapere concreto e di formazione riguardo a molte delle malattie femminili, in primo luogo proprio in ambito sanitario, determina spesso un atteggiamento di svalutazione di una patologia. Proprio quello che non deve succedere, perché tutto ciò è capace di generare un circolo vizioso:

Mi sento sola, mi chiedo se io sia davvero malata, sono succube di ritardo diagnostico inaccettabile e, conseguentemente, i miei sintomi diventano cronici e sempre più invalidanti.

Un loop infinito in cui il dolore si aggiunge a dolore, continua a farsi sentire vigliacco e incapace di avere una rivalsa. E per arrivare a una diagnosi ci vogliono anni.

Ci sono dei casi in cui, però, il dolore diventa politico. e lo diventa quando è talmente comune da essere un problema sociale, eppure lo Stato e il Servizio Sanitario Nazionale non lo riconoscono. quando per avere una diagnosi servono in media 4 anni e nel 67% dei casi più di 4 figure mediche, in un contesto in cui gli specialisti di una malattia che colpisce il 14-16% delle donne (o persone AFAB) si contano sulle dita di una, due mani al massimo. quando per curarsi bisogna chiedere prestiti a familiari e banche. questo è ciò che accade con vulvodinia e neuropatia del pudendo oggi, in Italia, 2021.

Lo diceva Giorgia Soleri, influencer e attivista, che su queste malattie ha cominciato ad alzare la voce. Perché troppo silenzio c’era e c’è tuttora attorno ad esse ed affermare che certe malattie dovrebbero essere tenute segrete non fa altro cheaccrescere lo stigma nei confronti della malattia stessa e della disabilità e comporta la mancanza di tutele che viviamo tutt’oggi.

Lottare per il diritto alla salute e alle cure non è esibizionismo: è pretendere giustizia sociale e rispetto.

I casi di vulvodinia

È il caso di patologie come la vulvodinia e neuropatia del pudendo, così come dell’endometriosi.

Si chiama vulvodinia e viene definita come un  “disagio, un bruciore, a volte un dolore urente a livello vulvare”. In Italia colpisce circa il 15% delle donne in età fertile. Si tratta di una malattia terribilmente silenziosa, proprio come accade con l’endometriosi, e, per vederne riconosciuta l’esistenza e l’invalidità che comporta, l’universo femminile deve compiere un’altra estenuante lotta.

In realtà, la vulvodinia esiste da sempre e per una diagnosi definitiva ci vogliono in media 5 anni e, sebbene nel 2021 sia stata riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità, in Italia non è considerata nemmeno una patologia.

La proposta di legge

La proposta di legge per il riconoscimento della vulvodinia e della neuropatia del pudendo come malattie croniche e invalidanti è stata depositata anche al Senato nei giorni scorsi.

Se ne chiede l’inserimento nei livelli essenziali di assistenza (Lea). La proposta è stata scritta dal comitato promotore e organizzatore, che raccoglie le sei associazioni che in Italia si occupano di queste due sindromi: Aiv, Ainpu onlus, Casa Maternità Prima Luce, Cistite.info APS, Associazione vulvodiniapuntoinfo Onlus e Associazione VIVA.

… e di endometriosi

Anche l’endometriosi è una malattia che si stenta a riconoscere e che tuttavia porta con sé tutta una serie di sintomi molto fastidiosi e in alcuni casi invalidanti, soprattutto durante il ciclo mestruale. Dolori molto forti nella zona pelvica che possono rimanere anche una volta finito il flusso, emicranie, gonfiore addominale, dolori durante i rapporti sessuali, ciclo irregolare e stanchezza.

Spesso chi soffre di endometriosi ha una o più cisti di alcuni centimetri nelle ovaie e aderenze, ovvero cicatrici fibrose, tra i vari organi e tessuti.

Il sintomo più serio che può portare una situazione di endometriosi sottovalutata o non trattata è l’infertilità, ovvero la difficoltà di concepimento, cruccio della maggior parte delle donne che si trovano a gestire questa malattia spesso proprio nell’età in cui si desidera avere figli.

Per troppo tempo le pazienti con endometriosi rimangono inascoltate o i loro disagi del tutto respinti, in mezzo a una marea di luoghi comuni e frasi lasciate al caso. Sarebbe ora che iniziassimo a prestare l’attenzione che meritano.

Leggi anche:Dalla ricerca, una speranza per le donne che soffrono di endometriosi

Il medical gaslighting, diciamo basta ai luoghi comuni

Si chiama proprio così: medical gaslighting, riprendendo la parola gaslighting (che è una forma di manipolazione psicologica subdola nella quale vengono date alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione) e portandola in ambito medico.

Si tratta proprio di quel tipo di dinamica che si verifica soprattutto nei confronti delle donne (o persone AFAB, a cui è cioè assegnato il sesso femminile alla nascita) alle quali, dopo anni e tanta sofferenza, vengono diagnosticate appunto endometriosi, vulvodinia o fibromalgia.

Quel tipo di dinamica, insomma, in cui nel valzer continuo e doloroso di cambio di medici e di pareri, ci si sente dire una caterva di luoghi comuni che non portano a nulla, se non a una totale disistima per se stesse:

  • Sei esagerata
  • Sei drammatica
  • Quanta ansia!
  • Sei ipocondriaca
  • Ha la soglia del dolore bassa
  • Devi farci l’abitudine
  • Addirittura non vai a lavoro…
  • Cosa vuoi che sia
  • Non pensarci, vedrai che ti passa
  • Hai problemi con il fidanzato?
  • Hai avuto momenti di stress ultimamente? (ndr: questa le batte tutte)

Il modo migliore di comprendere queste patologie e i loro effetti sulla qualità della vita è soltanto quello di ascoltare le persone che ne sono affette. La mancanza di empatia e la mancanza di attenzione può avere conseguenze devastanti anche sul trattamento.

Diciamo stop ai luoghi comuni e cominciamo ad ascoltarle, le donne.

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