Lo sfruttamento della fauna selvatica aumenta il rischio che virus animali possano arrivare ad infettare le persone, come nel caso coronavirus
Lo sfruttamento della fauna selvatica e i cambiamenti globali aumentano il rischio che virus animali possano arrivare ad infettare le persone, scatenando dei veri e propri focolai come la pandemia di Covid-19. A stabilirlo è un team di ricercatori dell’Università della California che da tempo, studia la genesi del nuovo coronavirus. La ricerca evidenzia il ruolo dell’essere umano nell’attuale pandemia che ha portato al contagio di 1,4 milioni di persone in tutto il mondo. Sul banco degli imputati ci sono globalizzazione, deforestazione e perdita di biodiversità.
“La diffusione di virus da animali è il risultato diretto delle nostre azioni che coinvolgono la fauna selvatica e il loro habitat. Il punto è che adesso loro stannno condividendo i loro virus con noi. Queste azioni minacciano sia la sopravvivenza delle specie che aumentano il rischio di spillover, ovvero il passaggio del virus. In una sfortunata convergenza di molti fattori, questo ha creato il casino in cui siamo”, spiega Christine Kreuder Johnson, direttore dell’epicentro di Disease Dynamics presso il One Health Institute e autrice principale dello studio.
Che l’essere umano minacci la sopravvivenza degli animali non è di certo una novità. La caccia, il bracconaggio, il commercio illegale di fauna selvatica sono da sempre delle piaghe difficili da sgominare per via di un mercato sempre più fiorente. Adesso, la ricerca esamina circa 140 virus zoonotici che possono infettare l’uomo ed erano stati trovati in specifiche specie animali prima del 2014. Le scoperte fatte si aggiungono a un crescente corpus di prove sul ruolo degli esseri umani nella sempre più frequente comparsa di malattie infettive negli ultimi decenni: deforestazione, urbanizzazione e l’espansione dell’agricoltura hanno portato sempre più al contatto con specie selvatiche, soprattutto perché la popolazione umana si è raddoppiata rispetto al 1960.La ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, fornisce nuove prove per valutare il rischio di ricaduta del virus ed evidenzia processi convergenti in base ai quali le cause del declino della popolazione selvatica hanno facilitato la trasmissione di virus animali agli esseri umani.
“I nostri risultati forniscono ulteriori prove del fatto che lo sfruttamento, nonché le attività antropogeniche che hanno causato perdite nella qualità dell’habitat della fauna selvatica, hanno maggiori opportunità di interazioni animale-uomo e facilitano la trasmissione di malattie zoonotiche”, si legge nello studio.
Secondo i ricercatori, le malattie infettive che provengono da animali rappresentano la maggior parte delle minacce ricorrenti e sono ampiamente considerate una delle maggiori sfide per la salute pubblica.
“Lo spillover della malattia è probabilmente ampiamente sottostimato, in particolare nelle regioni remote dove le persone hanno un accesso limitato all’assistenza sanitaria. Anche gli eventi di ricaduta della malattia zoonotica sono difficili da rilevare, specialmente se lo spettro della malattia include sintomi lievi o non specifici o se non vi è alcuna trasmissione da uomo a uomo”.
Roditori, pipistrelli e specie di primati che vivono vicino a case o fattorie, secondo lo studio, presentano un rischio elevato per la trasmissione continua di virus alle persone. Il fatto che ci sia questa innaturale vicinanza è dovuto al fatto che c’è una massiccia deforestazione
“Questi spillover ci sono sempre stati, fa parte della natura, ma sono le nostre attività che stanno cambiando le cose”, ha detto l’epidemiologo veterinario Dirk Pfeiffer. “Stiamo creando uno squilibrio, ci stiamo avvicinando alla foresta e invadendo l’habitat di animali selvatici e acquisendo agenti patogeni che non conoscevamo prima”.
“Gli esseri umani hanno modellato il pianeta in modo da poter fare più soldi e vivere comodamente, e così facendo hanno fornito il miglior ambiente possibile per la trasmissione di agenti patogeni”, continua.
Con il boom della popolazione, le economie in crescita e le catene di approvvigionamento globali, i virus corrono veloci. Ciò crea le condizioni per quella che l’ecologo patogeno Peter Daszak definisce una nuova “era pandemica”.
“Dobbiamo pensare alle pandemie nello stesso modo in cui pensiamo ai cambiamenti climatici, è una minaccia esistenziale per noi, ma è una minaccia che possiamo effettivamente controllare, perché ne siamo i driver”, chiosa Daszak.
Fonti: The Royal Society/South China Morning Post
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