Fare esercizio fisico fa bene anche al sonno: uno studio guidato dall’Università del Texas ad Austin (Usa) ha dimostrato infatti che l’attività fisica allunga la cosiddetta latenza REM, rendendo meno probabili gli incubi notturni
Più attività fisica, meno incubi: uno studio guidato dall’Università del Texas ad Austin (Usa) ha dimostrato infatti che l’attività fisica allunga la cosiddetta latenza REM, aiutandoci a dormire meglio perché con minore probabilità di fare incubi notturni.
Il lavoro, secondo gli scienziati, è la prova più robusta mai ottenuta fino ad oggi che dimostra la connessione tra attività fisica, qualità del sonno e salute psicologica. Lo studio ha scoperto in particolare che l’attività fisica allunga la latenza REM, ovvero il tempo necessario per entrare nella fase REM.
Per questo l’esercizio fisico potrebbe aiutare a consolidare le fasi del sonno più profondo prima di passare al sonno REM, ovvero quando tendiamo ad avere sogni vividi e il nostro cervello sembra essere attivo come quando siamo svegli. Di conseguenza gli incubi potrebbero essere molto più rari.
L’architettura del sonno è costituita da cicli di sonno della durata di 90-120 minuti, le tre fasi del sonno non REM (sonno leggero, profondo e profondissimo NREM) e del sonno REM, che costituisce il restante 25% circa del sonno.
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L’esperienza testimonia già da tempo che quando ci alleniamo regolarmente dormiamo meglio, e che quando dormiamo meglio, ci sentiamo meglio. Sebbene ci siano ampie prove scientifiche, fino ad ora gli studi in questo campo sono stati condotti in ambienti di laboratorio, o con dati tratti dopo solo una notte di sonno, e limitano molto l’affidabilità delle loco conclusioni.
Questo lavoro è stato invece condotto su più ampia scala, analizzando come i modelli di attività fisica quotidiana influenzano le fasi del sonno e il benessere emotivo in un ambiente naturale, es. a casa, al lavoro e durante le attività quotidiane, per diversi mesi.
Il gruppo di ricerca ha utilizzato una tecnologia avanzata per monitorare i livelli di sonno e di attività in 82 giovani adulti, con un rilevatore di attività indossato dal polso che registrava sia il movimento che la frequenza cardiaca.
Da questi segnali sono stati determinati i periodi di sonno profondo (NREM) e di sonno REM, insieme all’attività fisica ed è stata utilizzata un’app per smartphone separata per raccogliere i dati sul benessere che i partecipanti hanno riferito.
Lo studio è parte di un più ampio lavoro condotto nell’ambito di Whole Communities–Whole Health, programma di ricerca che adotta un approccio interdisciplinare al modo in cui vengono raccolti i dati sanitari, coinvolgendo allo stesso tempo le comunità e i partecipanti nel processo di ricerca.
Questo studio di più ampio respiro ha replicato con successo molti dei risultati precedentemente condotti nei laboratori del sonno, confermando che impegnarsi in attività fisica sia a bassa intensità che da moderata a intensa è effettivamente correlato a un sonno più profondo e ristoratore, e che un sonno migliore diventa più energia e meno stress la mattina seguente.
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Si può imparare molto dagli studi di laboratorio, ma ovviamente ci sono dei limiti a questi modelli ottenuti da singoli partecipanti in una sola notte – spiega Benjamin Baird, che ha guidato la ricerca – È un contesto non familiare, di tipo clinico, che può essere stressante. E non è nemmeno possibile nemmeno guardare nel tempo. Quindi, ci si chiede sempre quanto siano generalizzabili le conclusioni
Limite che oggi è stato definitivamente superato.
Il lavoro è stato pubblicato su Scientific Reports.
Fonti: Università del Texas ad Austin / Scientific Reports
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