Allergie: la stagione dei pollini si è allungata di 30 giorni negli ultimi anni per colpa dell’inquinamento

Lo dimostra uno studio negli Usa ma conferma quanto suggerito qui in Italia: i cambiamenti climatici aggravano le allergie stagionali.

Brutte notizie per chi soffre di allergie! Secondo un nuovo studio la stagione dei pollini si sarebbe allungata di 30 giorni rispetto al 1990 per colpa di inquinamento e agricoltura intensiva

La stagione dei pollini invece di iniziare da metà a fine marzo e terminare ai primi di settembre, inizia a fine febbraio e termina quando l’autunno è già in corso, ad ottobre.Lo dimostra uno studio negli Stati Uniti: smog e cambiamenti climatici aggravano le allergie stagionali, aumentando il rischio di reazioni indesiderate e rovinando la vita a chi già ne soffriva. Come se non bastassero alluvioni, estinzioni di svariate specie animali, distruzione di ecosistemi, innalzamento del livello dei mari e incremento degli eventi meteorologici estremi, ecco altri danni dei cambiamenti climatici.

Brutte notizie, insomma, per gli allergici cronici e per tutti quelli che prima non lo erano: l’inverno si accorcia sempre di più, i pollini aumentano e dunque aumenta molto la probabilità di dover prendere antistaminici in continuazione.

Leggi anche: OMS: allergie respiratorie in aumento per colpa dei cambiamenti climatici

Già 5 anni fa uno studio condotto dagli scienziati impegnati nel progetto europeo ‘Atopica’ (Atopic diseases in changing climate, land use and air quality), aveva previsto entro il 2050 un aumento nell’aria del polline dell’Ambrosia artemisiifolia, responsabile di rinite, congiuntivite e asma. Che potrebbe portare a quadruplicare i casi di allergie oltre a spostare il periodo di maggior diffusione della rinite allergica dalla primavera alla tarda estate.

Ma era solo uno dei tanti che lanciava l’allarme dei cambiamenti climatici come causa (anche) di aumento di casi e gravità di allergie stagionali.

Una nuova ricerca mostra ora che le stagioni dei pollini iniziano 20 giorni prima, sono 10 giorni più lunghe e presentano il 21% in più di polline rispetto al 1990, il che significa più giorni di prurito e starnuti.

Il lavoro è stato condotto negli Usa e pubblicato su PNAS da un team dell’University of Utah School of Biological Sciences, in particolare tramite misurazioni compiute tra il 1990 e il 2018 presso 60 stazioni di conteggio dei pollini negli Stati Uniti e in Canada, gestite dal National Allergy Bureau.

Ma i risultati, purtroppo, confermano precedenti portati avanti nel nostro Paese.

Solo per citare un esempio del lontano 2009, una ricerca tutta italiana pubblicata su Allergy indicava tra le cause delle reazioni allergiche stagionali proprio i cambiamenti climatici, sia  quelli prodotti da cause naturali che quelli indotti da noi, che stanno portando ad un aumento nell’atmosfera di gas come CO2, N2O, CH4, responsabili del riscaldamento globale (effetto serra).

allergie e cambiamenti climatici

©Istituto Superiore di Sanità

Tra le cause:

  • Sviluppo agricoltura (deforestazione)
  • Sviluppo industria
  • Utilizzo mezzi di trasporto a combustione
  • Smaltimento rifiuti

Un certo numero di studi su piccola scala, generalmente in ambienti di serra su piccole piante, hanno indicato forti legami tra temperatura e polline – spiega William Anderegg, coautore della recente ricerca Usa. Questo studio rivela la connessione su scala continentale e collega esplicitamente i trend di presenza di polline al cambiamento climatico causato dall’uomo”.

Cosa altro dobbiamo scoprire per fermarci?

Fonti di riferimento: Eurekalert / PNAS / Allergy / Istituto Superiore di Sanità

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