Quando finisce un amore, le cinque tappe da affrontare per ritornare a sorridere alla vita e all'amore.
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Proprio come nell’elaborazione di un lutto, quando finisce una relazione sono cinque le tappe da affrontare (non necessariamente in successione) per ritornare a sorridere alla vita e all’amore
“Quando finisce un amore così com’è finito il mio, senza una ragione ne’ un motivo, senza niente… Ti senti un nodo nella gola, ti senti un buco nello stomaco, ti senti un vuoto nella testa e non capisci niente”: chi si ricorda la canzone di Riccardo Cocciante? È un lento crescendo di angoscia, ribellione, smarrimento, tentativo di ampliare lo sguardo e poi il ricadere in quel buco doloroso. La fine – subita – di una relazione importante può sconvolgere la propria vita. D’altra parte l’amore ci rendeva infiniti; si pensava di essere in due, si guardava al mondo e si pensava – di sé e del mondo – anche in relazione all’altra persona.
Quando questa immagine di coppia improvvisamente viene rimessa in discussione o frantumata, all’istante, unilateralmente (quindi la decisione di lasciarsi non è stata presa dopo un percorso di riflessione e maturazione condiviso, fatto insieme) il mondo può crollare addosso. La rottura di una coppia è uno degli eventi più stressanti e persino quasi fisicamente dolorosi: lo confermano le nostre esperienze personali e diverse ricerche tra cui quella condotta da Ethan Kross e pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences, che ha dimostrato come la rottura di una relazione generi lo stesso dolore di una scottatura. Fisico, bruciante.
Che fare per uscire dallo strazio, quando finisce un amore? Cinque sono le tappe che, in genere, contraddistinguono il percorso dallo stordimento della notizia alla ripresa di una “nuova vita”.
Negazione
La prima reazione è la negazione. La rappresentazione chiara di questa resistenza, dell’impossibilità di comprendere, del rifiuto a vedere le cose come stanno è proprio la canzone di Cocciante. Non è possibile, non ci sono ragioni perché un amore possa finire. E forse non è così, forse c’è ancora un’altra possibilità. Lo sconcerto della scoperta produce una sorta di confusione mentale che non aiuta a far ordine, a cui si reagisce come se fosse un brutto sogno da cui ci si vuole risvegliare. Si nega, proprio come in un lutto. Ci si rivolge ad amici e parenti con cui si ha particolare sintonia per trovare conferma che no, non è possibile (oppure nel tentativo di “estorcere” informazioni aggiuntive) e forse in questo ripetere, e ripetere, e ripetere che nasce, si consolida piano piano la visione della nuova realtà.
Elaborare la negazione, riconoscere che davvero le cose sono così, che l’amore è finito, richiede del tempo: ad ognuno il suo. Per rimettere tutti i tasselli e comprendere cosa sia successo, per dare un nuovo ordine interiore.
Rabbia reattiva
Nella seconda fase subentra spesso una rabbia reattiva. Una sorta di rancore verso il mondo, talvolta anche frustrazione, quando ci sentiamo vittime incomprese; oppure diretto verso la persona che ci ha “tradito” frantumando l’idea che avevamo della nostra relazione, distruggendo la progettualità e la coppia. Naturalmente si può riversare la rabbia anche su se stessi, dandosi la colpa di non aver capito e di aver dato fiducia. Questa emozione può essere devastante, imponente e indurre a comportamenti aggressivi e svilenti anche solo verbalmente, vendicativi. Come si è permesso, con tutto quello che ho fatto per lui o per lei? Gliela faccio pagare io? Sei una persona X e Y (con attributi irripetibili). E via discorrendo. Riconoscerla, nelle sue diverse espressioni, è il primo passo importante. E poi va “lavorata”: ad esempio si può tenere un diario in cui esprimere il proprio vissuto, i propri pensieri, con l’obiettivo di lasciarli andare (affinché possano essere trasformati).
Patteggiamento
Poi arriva il patteggiamento: ma se io facessi questo, se tu non avessi fatto l’altro? Forse è stata quella situazione, forse la responsabilità di tutto è stato quel problema. Se, se, se. Sono i tentativi di capire meglio cosa sia successo, l’ultimo lancio della boa nella speranza di poter portare a casa una risoluzione, felice. Magari non “come prima” ma comunque insieme, perché no, possiamo lavorarci su. È il primo momento in cui, finito di cercare di mantenere l’aggancio al passato, ci si “arrende” alla realtà e si cerca di comprendere, ancora un po’ confusamente all’inizio, le ragioni.
Dolore profondo
È nella resa alla realtà che, siamo nella quarta tappa dell’elaborazione, entra un dolore profondo, lento. Una sorta di depressione (che in taluni casi può diventare patologica) da lutto: si comincia ad elaborare la mancanza, a sentirne il peso e il significato più profondo di quanto è successo. Non c’è niente da fare che non stare con questo dolore, accogliendolo: è fisiologico, naturale. Solo “passandoci attraverso” si può davvero lasciarlo alle spalle e coglierne l’insegnamento. Ed è questa anche la fase in cui, molti, per non sentire dolore si buttano in nuove avventure: con l’idea che “chiodo schiacci chiodo”, si usano altre persone per distrarsi, per non sentire il loro vuoto e il dolore. Ogni notte, in un letto diverso. O giù di lì. Apparentemente funziona, al momento. Ma si finisce con l’impoverirsi interiormente.
L’Accettazione
E poi arriva, finalmente, l’accettazione. “Una delle conseguenze della fine di una relazione importante – afferma lo psichiatra Raffaele Morelli – è che ci riporta a noi, a riappropriarci di una nuova identità“. Dal buio possiamo finalmente risorgere con nuove e rinnovate, autentiche, capacità d’amare. Ci potranno essere delle ricadute, certo, ma sostanzialmente si è fatto tesoro, in modo costruttivo, dell’esperienza. Non si controlla più da lontano, magari sui social o whatsapp, i comportamenti dell’ex partner; non si usano più le amicizie comuni come spoiler; non si chiedono più consigli su come fare per aggiustare la situazione, per tornare insieme. Il tempo del dolore acuto è passato, anche quello del dolore più profondo e lento. Si comincia a guardare oltre. Come un seme buttato nella profondità nera della terra, lontano dalla spiga di cui si sentiva parte, che a poco a poco si lascia andare e trasformare dalle energie degli elementali, e così si apre ad una nuova vita.
Va da sé che queste tappe non sono necessariamente lineari, in successione. Anzi. Si alternano, accavallano. È un processo che dipende anche dalle competenze emotive; dalle nostre risorse sociali, affettive, personali; dal momento di vita che stiamo affrontando. Conoscerle ci aiuta però ad identificarle: sapere dove siamo è sempre l’informazione necessaria per poi andare, qualunque siano – nelle nostre intenzioni – obiettivi e meta.
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Anna Maria Cebrelli
Illustrazioni: Andrea Ucini