Meglio tacere che parlare a sproposito o con sentimenti distruttivi. Il potere creatore e vibrazionale della parola. La forza del linguaggio impeccabile.
Capita, a volte, che le persone parlino solo perché, come si dice, hanno la lingua in bocca: che il loro discorrere sia quindi vano, poco costruttivo. Inutile. Per di più senza neanche la consapevolezza e l’ironia di Oscar Wilde, evidente nel suo celebre aforisma: “Amo molto parlare di niente, è l’unico argomento di cui so tutto”.
E poi ci sono quelli che – più o meno coscientemente – sparlano, fanno delle parole un’arma per ferire, offendere, denigrare, disturbare, ingannare; per vomitare addosso agli altri le loro sofferenze, memorie, credenze. Eccetera eccetera.
La verità è che spesso le parole che pronunciamo vengono considerate poco più che suoni, espressioni verbali che finiscono lì. Non ci ricordiamo che, invece, dietro, c’è un mondo potente che riattiviamo, ogni volta, su di noi e gli altri. “Secondo gli enunciati delle antiche cosmologie il mondo avrebbe avuto origine da una «parola» creatrice, sarebbe cioè stato creato per mezzo di un ritmo sonoro… Questo suono fu.. il primo atto creativo”: scrisse il musicologo Marius Schneider in Pietre che cantano.
Si tratta di una qualità tutt’ora presente: Raimon Panikkar, scrittore e teologo, definisce la parola un’“opera creatrice”. Non solo: ogni termine ha la sua vibrazione, dunque un’informazione che si diffonde ogni volta che viene usato. Insomma, le parole che noi pronunciamo esprimono dei concetti e al tempo stesso creano dei mondi dentro di noi e intorno a noi.
Per questo – come sottolinea Don Miguel Ruiz ne “I Quattro Accordi” (disponibile anche in ebook – linkaffiliazione) è importante che il nostro linguaggio sia impeccabile. Cosa significa? Non parlare a vanvera, certo, ma soprattutto usare modi, intenzioni e toni che siano gentili, costruttivi, di autentico ascolto.
Se le parole dette esprimono il nostro veleno emozionale, scaricano le nostre frustrazioni o disappunto, come prima cosa amplificano quegli stati dentro di noi (anche se apparentemente possiamo subito sentire una soddisfazione o un alleggerimento del nostro peso); come secondo effetto possono toccare, negativamente, anche gli altri.
Al contrario, frasi espresse in modo costruttivo, orientate al bene, rispettose degli altri creano dentro di noi e intorno a noi uno stato di armonia e serenità.
Riassumendo: a seconda di come viene utilizzata, la nostra comunicazione può aiutarci a superare le situazioni, ad evolvere oppure ci ferma, bloccando la nostra visione (non a caso la saggezza tolteca ricorda che la parola può renderci anche schiavi: arroccati su sentimenti distruttivi).
Allora meglio star zitti, darsi il tempo e lo spazio interiore di elaborare i propri vissuti e trasformarli, provare ad ascoltare in modo nuovo se stessi e gli altri: per dare voce a parole nuove. Meglio non dire nulla, se non dopo essersi chiesti se il proprio contributo è davvero in qualche modo utile o se – piuttosto – non serve solo a dar fiato alle trombe, soddisfare un ego personale che ha bisogno di visibilità, di sentirsi importante (certo, così facendo si corre il rischio di vedere quello che c’è davvero “dietro”: non sempre è “divertente” ma è un fondamentale punto di partenza per agire e comunicare, poi, nel mondo in modo più consapevole e presente).
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Quindi, piuttosto di un parlare che distrugge, alimenta il conflitto, esaspera gli animi, non porta da nessuna parte, meglio zittirsi: non è rinuncia, non è assenza ma, anzi, scelta. Il silenzio diventa d’oro: spazio possibile per trovare nuove parole, altri stati d’animo, “impeccabili”, e così una diversa potenza creativa.
E, poiché è anche stato detto che “un bel tacer non fu mai scritto”, ora, di più, aggiunger non si può.
Se non il nostro lavoro personale, per risuonare nelle vibrazioni del linguaggio che utilizziamo e di lì imparare, e ripartire.