Malgrado tutti o quasi hanno a disposizione un numero pressoché illimitato di informazioni, le notizie non interessano tutti allo stesso modo
Malgrado tutti o quasi hanno a disposizione un numero pressoché illimitato di informazioni, le notizie non interessano tutti allo stesso modo
Grazie ad Internet e alle telecomunicazioni, viviamo in un’epoca di livelli senza precedenti di informazioni facilmente accessibili: nella nostra tasca c’è una finestra di accesso al mondo, nonché ad ogni tipo di contenuto o informazione relativa all’attualità, al passato, al futuro. Eppure – e l’emergenza Covid-19 lo sta tristemente dimostrando – ci sono ancora persone che non credono alla scienza, che pensano che i vaccini facciano male o che il Coronavirus sia un’invenzione. Secondo una recente indagine del CENSIS, per esempio, il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) ritiene che il Covid non esiste, mentre per il 10,9% il vaccino è inutile. Ma non solo: il 5,8% è convinto che la terra è piatta, per il 10% l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna, per il 19,9% la tecnologia del 5G non è altro che uno strumento sofisticato per controllare le persone.
Ma perché accade questo? Uno studio appena pubblicato prova a dare spiegare la differenza fra le persone che vogliono apprendere cose nuove e altre che, al contrario, preferiscono rimanere nell’ignoranza. I ricercatori hanno condotto cinque esperimenti coinvolgendo più di 500 partecipanti, e hanno dedotto che la maggior parte di noi rientra in una delle tre categorie seguenti:
- i pensatori, che decidono di apprendere o meno nuove informazioni su un argomento in base a quanto pensano in merito ad altri argomenti correlati;
- gli utilitaristi, che decidono cosa imparare sulla base dell’utilità di una certa informazione;
- i sensori, che decidono in base alle sensazioni provate dall’apprendere quella informazione.
(Leggi anche: Analfabetismo funzionale: troppi italiani non sanno riconoscere le fake news (e il coronavirus non aiuta))
Ti stai chiedendo a quale gruppo appartieni?
Nel primo esperimento, ai partecipanti è stato chiesto se avessero voluto conoscere qualche informazione sulla propria salute genetica – come, per esempio, se avessero un gene di rischio per l’Alzheimer. In un altro esperimento, è stato chiesto ai partecipanti il loro interesse nell’apprendere informazioni finanziarie specifiche – come i tassi di cambio. Un altro esperimento ancora ha avuto come obiettivo quello di conoscere il grado di interesse sull’opinione che amici e familiari avevano dei partecipanti: per esempio, se la famiglia li considerava pigri o piuttosto intelligenti. Successivamente, ai volontari è stato chiesto di valutare le ipotetiche curiosità in base a questi tre fattori personali: pensieri, utilità e sentimenti – corrispondenti a tre livelli di interesse differenti. Questi test sono stati ripetuti più volte nell’arco di alcuni mesi, sempre con gli stessi volontari: in questo modo i ricercatori hanno scoperto che la maggior parte delle persone dà costantemente la priorità a un fattore rispetto agli altri.
Grandi quantità di informazioni sono ora disponibili per gli individui. Questo include tutto, dalle informazioni sul tuo corredo genetico alle informazioni sui problemi sociali e sull’economia – spiega la professoressa Tali Sharot, co-autrice dello studio. – Per questo motivo ci siamo chiesti: come fanno le persone a decidere cosa vogliono sapere? E perché alcune persone cercano attivamente informazioni, ad esempio sui vaccini COVID, sulla disuguaglianza finanziaria e sui cambiamenti climatici, e altre no? Le informazioni a cui le persone decidono di esporsi hanno importanti conseguenze per la loro salute, le loro finanze e le loro relazioni. Comprendendo meglio perché le persone scelgono di informarsi, potremmo sviluppare modi per convincere le persone a istruirsi.
Questa scoperta potrebbe rivelarsi molto utile, ma al contempo pericolosissima. Sapere cosa le persone vogliono sapere e perché può fare molto per progettare campagne di informazione pubblica, ma anche spot pubblicitari o campagne elettorali di successo. Tutto sta a comprendere cosa le persone vogliono sentirsi dire, quali informazioni possono maggiormente interessare e stimolare la curiosità di chi ascolta.
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Fonti: Nature Communications / Censis
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