Non dovremmo vergognarci di come ci commuoviamo di fronte a un film (o a una storia emozionante), perché questo dimostra la nostra empatia
Tutti abbiamo quel film che ci fa commuovere ogni volta che lo vediamo: non importa quante volte lo abbiamo visto e quanto bene lo conosciamo, ci strapperà sempre qualche lacrimuccia.
Per qualcuno può essere I ponti di Madison County, per qualcun altro può trattarsi di Forrest Gump, per qualcuno può essere addirittura un cartone animato – come Toy Story o La Bella e la Bestia.
La magia del cinema è la sua capacità di trasportarci in un’altra dimensione, di farci immedesimare in storie che non sono le nostre, e di commuoverci con le vite di eroi ma anche di persone comuni.
Non bisogna vergognarsi se si piange davanti a un film – anzi, si tratta di una cosa buona: avere la capacità di commuoversi di fronte alle storie degli altri (anche se di finzione) è un’ottima palestra per la gestione delle nostre emozioni.
Piangere di gioia o di tristezza migliora la nostra capacità di empatia, ci rende più vicini agli altri e ci permette anche di conoscere meglio noi stessi e ciò che si agita nel nostro animo.
Non pensiamo, quindi, che piangere e commuoversi sia un atto di debolezza: al contrario, il pianto empatico è tipico elle persone emotivamente forti.
A dimostrare questo c’è anche uno studio di qualche anno fa, condotto da Paul J. Zak, neuroscienziato della Claremont Graduate University (Stati Uniti).
Durante un volo notturno verso la California, il professor Zak scelse di sfruttare il piccolo schermo a disposizione davanti al suo seggiolino e guardare Million Dollar Baby, un film molto famoso ma che non aveva ancora mai visto.
Rimase profondamente assorbito dalla storia che, come saprete se lo avete visto, si conclude in modo drammatico – tanto che scoppiò a piangere in modo disperato e non riusciva più a fermarsi.
Dopo essersi ripreso, Zak iniziò a chiedersi cosa gli fosse successo. La storia che aveva visto era stata così avvincente che il suo cervello aveva reagito come se fosse stato un personaggio del film, come se a soffrire fosse stata una delle sue figlie.
Questa esperienza in aereo fu la molla che spinse il neuroscienziato ad approfondire come i film riescono a commuoverci (e come modificano il nostro comportamento).
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Lo studio
Molte persone, pur sapendo che si tratta solo di un film e che la storia che vedono sullo schermo è fittizia, non riescono a non piangere quando vedono una scena molto emozionante.
Ma non solo: oltre al momento di commozione e di pianto, che passa dopo qualche minuto, è evidente che le storie commoventi cambiano un po’ la vita e il pensiero di coloro che mostrano empatia e si lasciano attraversare dalle emozioni che si vedono sullo schermo.
Tutta colpa dell’ossitocina, un ormone che viene rilasciato in modo maggiore durante un’esperienza empatica e che può spingerci a comportamenti più generosi verso gli altri.
Per dimostrarlo, il professor Zak e il suo team hanno condotto un esperimento, che ha sottoposto due gruppi di persone alla visione di brevi clip video:
- un primo gruppo ha visto una scena emotiva e commovente – quella di bambini malati terminali di cancro all’interno di un ospedale, in compagnia dei loro papà
- il secondo gruppo, invece, ha assistito a una scena non emotiva – gli stessi bambini, con i loro papà, in visita allo zoo.
Coloro che hanno visto i video girati in ospedale, come è ovvio, sono stati coinvolti dal punto di vista emotivo molto più di quelli che hanno visto i video dello zoo.
I ricercatori hanno osservato che chi ha mostrato empatia verso la scena vista presentava fino al 47% di ossitocina in più rispetto ai livelli basali (con la risposta empatia-ossitocina più forte nelle donne rispetto agli uomini).
Successivamente, è stata valutata la generosità dei partecipanti all’esperimento: coloro che hanno mostrato più empatia hanno fatto offerte monetarie molto più generose rispetto agli altri, affermando inoltre di sentirsi più felici dopo la donazione.
Insomma, identificarci nel dolore e nella sofferenza mostrata in un video ci permette di connetterci agli altri in modo più profondo, ma anche di tirar fuori la nostra generosità e, alla fine, di vivere in modo più sereno e felice la nostra vita.
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Fonte: PubMed
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