Abilità non cognitive come la resilienza, l'empatia e l'autodisciplina hanno un ruolo addirittura più importante del quoziente intellettivo nel rendimento scolastico degli studenti
Le abilità non cognitive, come la motivazione e l’autoregolamentazione, sono importanti quanto il quoziente intellettivo nel determinare il successo accademico.
Queste abilità diventano sempre più influenti durante l’istruzione di un bambino, con fattori genetici che svolgono un ruolo significativo.
Lo rivela un nuovo studio condotto congiuntamente dalla Queen Mary University of London e dall’University College London, che suggerisce che promuovere abilità non cognitive insieme ad abilità cognitive potrebbe migliorare significativamente i risultati educativi.
Lo studio
Tradizionalmente, si è sempre ritenuto che il quoziente intellettivo (QI) e altre competenze cognitive fossero i principali fattori predittivi del rendimento scolastico.
Tuttavia, questa nuova ricerca sfida tale presupposto, sottolineando l’importanza crescente di abilità non cognitive nel percorso educativo di un bambino.
Le abilità non cognitive comprendono un insieme di competenze emotive, comportamentali e sociali che non sono direttamente legate alla capacità intellettuale.
Tra queste, spiccano la motivazione, l’autodisciplina, la resilienza, l’empatia e la capacità di gestire le emozioni. Tali competenze sono essenziali per affrontare le sfide quotidiane, prendere decisioni consapevoli e mantenere relazioni sane e costruttive.
A differenza delle abilità cognitive, che riguardano la capacità di elaborare informazioni e risolvere problemi, le abilità non cognitive influenzano il modo in cui gli individui si avvicinano alle situazioni e interagiscono con l’ambiente circostante.
Lo studio britannico ha seguito oltre 10.000 bambini di età compresa tra i 7 e i 16 anni, utilizzando una combinazione di studi sui gemelli e analisi basate sul DNA per esplorare l’interazione tra genetica, ambiente e rendimento scolastico.
Una delle scoperte più sorprendenti riguarda l’importanza crescente delle abilità non cognitive nel corso degli anni scolastici. Secondo la professoressa Malanchini, docente di psicologia presso la Queen Mary University of London e autrice dello studio:
Le competenze non cognitive, come la grinta, la perseveranza e il valore attribuito all’apprendimento, non solo sono fattori predittivi significativi del successo, ma la loro influenza si rafforza nel tempo.
Questo dato suggerisce che l’attenzione esclusiva sulle abilità cognitive potrebbe non essere sufficiente per garantire il successo accademico. Anzi, coltivare abilità come la resilienza e la motivazione potrebbe essere altrettanto, se non più, determinante.
Un altro aspetto rivoluzionario dello studio è l’importanza della genetica nel plasmare le abilità non cognitive. I ricercatori hanno costruito un “punteggio poligenico” basato sull’analisi del DNA per valutare la predisposizione genetica di un bambino verso queste competenze.
Secondo i ricercatori, gli effetti genetici associati alle abilità non cognitive diventano sempre più predittivi del successo accademico nel corso degli anni scolastici, con un impatto che quasi raddoppia tra i 7 e i 16 anni.
Questo non significa che l’ambiente non giochi un ruolo significativo. Al contrario, lo studio ha mostrato che, anche all’interno delle stesse famiglie, dove i bambini condividono lo stesso ambiente familiare, la genetica non cognitiva continua ad avere un’influenza crescente sul rendimento scolastico.
I risultati indicano che i bambini, in base alla loro personalità e alle loro disposizioni genetiche, possono modellare attivamente le loro esperienze di apprendimento, creando un ciclo di feedback che rafforza le loro capacità e il loro successo accademico.
Possibili implicazioni educative
Riconoscere il ruolo cruciale delle abilità non cognitive significa che le scuole dovrebbero sviluppare programmi e interventi che non solo promuovano lo sviluppo cognitivo, ma che sostengano anche lo sviluppo emotivo e sociale degli studenti.
Questo cambio di paradigma potrebbe portare a un ambiente di apprendimento più inclusivo ed efficace, in cui tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro predisposizioni cognitive, abbiano la possibilità di eccellere.
Inoltre, la ricerca mette in evidenza la necessità di ulteriori studi sull’interazione tra geni, ambiente e istruzione per sviluppare strategie educative più complete ed efficaci. Come ha affermato ancora la professoressa Malanchini:
Questo studio è solo l’inizio. Ci auguriamo che ispiri ulteriori ricerche e porti a una trasformazione nel nostro approccio all’istruzione.
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Fonti: Queen Mary University / Nature Human Behaviour
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