Vedersi per come si è, e apprezzarsi, è la prima fase di un delicato processo di auto-accettazione. Del tutto intimo. E a volte estremamente doloroso
A noi è piaciuta così, essenziale ed eterea, in un fluttuante abito color rosa. E sorridente e serena, nella piena consapevolezza del suo corpo e dei suoi movimenti. No, non ci va di fare un excursus di ogni passo fatto, parola pronunciata e canzone cantata da Noemi ieri sul palco dell’Ariston, alla prima del Festival di Sanremo. Chi se ne frega se ha perso dei chili, diremmo pure, a tacere le orde di perdigiorno che affollano il web.
Perché, si sa, se sei grassa ti dicono che devi dimagrire. Se sei magra, cielo!, ma metti su qualche chilo. E peggio va se questo dimagrimento è sotto gli occhi di tutti.
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Insomma, il body shaming c’è in ogni sfaccettatura si possa insinuare e questa volta la vittima – ma praticamente da sempre – è proprio lei, Noemi, colpevole di essere dimagrita e, attenzione, di sentirsi anche bene. Una schiera di misogini ha infatti continuato ad attaccarla, denigrandola per il suo nuovo aspetto, a dimostrazione del fatto che ogni volta che un personaggio modifica o anche solo migliora il proprio aspetto, pare tradisca una parte di pubblico.
E non solo: anche quando Noemi prima aveva qualche chilo in più, la attaccavano proprio per quello.
Che noia, ragazzi, che noia!
Prima ho subito bullismo per il mio peso. Ci ho messo tanta testa per perderlo – dichiarò l’anno scorso Noemi ai microfoni de Le Iene.
Per raggiungere il suo obiettivo, la cantante romana ha adottato il protocollo Tabata: un metodo di allenamento, ideato negli anni ’90 dall’omonimo scienziato giapponese, che rientra nell’insieme degli allenamenti intervallati ad alta intensità – High Intensity Interval Training (HIIT). Un percorso che alla musicista ha fatto perdere ben 20 chili in un anno.
E allora? Cosa c’è di male?
Nulla, ma gli haters stanno dietro l’angolo e mica ce la fanno a starsene buoni: Eri meglio prima oppure Sei diventata come tutte le altre, sparano a zero. Per non parlare di quelli che dicono Prima ti consideravo una grande artista, ma adesso non mi piaci più, come se il cambiamento estetico annullasse, in qualche modo, il talento, la professionalità, se non addirittura il valore di un artista.
Solo un anno fa Noemi aveva rilasciato un’intervista a Vanity Fair, in cui ha parlato proprio del “brusio intorno”.
Sei burrosa? Ti dicono “Dimagrisci”. Scheletrica? “Fortificati”. Sposata? “Sbagliata”. Single? “Sfigata”. Bisogna chiudere gli occhi e ascoltarsi. E non accettare mai che qualcuno ti dica quando, se e come cambiare. Perché vai bene solo se vai bene a te. E poi ha aggiunto: Sono dimagrita perché in quell’altro corpo non mi sentivo più io. Così ho difeso il sogno che avevo di me. Ho imparato a non avere paura dell’onestà di chiedersi “Chi sono?” e avvicinarsi a quello che si crede di volere. Abbiamo il diritto di diventare chi vogliamo.
La body positivity
A molte persone, questo discorso, che è la conseguenza di un percorso di conoscenza e consapevolezza di sé, è apparso come un tradimento: Noemi, che sceglie di difendere il sogno che aveva di sé, diventa improvvisamente il condottiero che abbandona la nave della mediocrità e lascia affondare chi ci è rimasto dentro. E quindi molti, senza aver minimamente compreso quello che ha detto, hanno iniziato a darle della ipocrita e a fare tutta una serie di commenti del genere che rischiano di farci inciampare in un errore molto pericoloso: credere che la body positivity significhi accettazione passiva di sé e del proprio corpo.
Non è esattamente così, ragazzi. La vera body positivity porta in realtà a un unico insegnamento: ognuno deve imparare l’importanza di conoscersi profondamente, di nutrire la propria autostima e di inseguire coraggiosamente quello che si vuole essere, l’idea che si ha di sé, del proprio corpo e della propria mente.
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Cosa vuol dire? Significa dare tregua ai corpi che non possono cambiare e che, per tale motivo, vanno accolti, amati e inseriti in una società che, fino a poco tempo fa, nemmeno li prendeva in considerazione. Non è qualcosa che arrivi a legittimare la mediocrità o l’accettazione passiva. Insomma, non è un corpo fuori forma, sbattuto su una copertina, per dirci che siamo belli così come siamo. Quella è soltanto una risposta superficiale a anni e anni di emarginazione, una rivincita e una strategia di marketing.
La verità è che siamo belli quando ci riconosciamo, quando siamo in armonia con noi stessi. Questo dovrebbero insegnarci e a questo dovremmo ambire: il traguardo si raggiunge solo quando si è felici di ciò che si è. Le vere domande che ognuno di noi dovrebbe farsi sono “chi sono” e “chi voglio essere”, unicamente per noi stessi.
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