Psicologia del mangiarsi le unghie: questo comportamento parla di stress e disagi emozionali. Per cambiare, serve un approccio olistico.
Mangiarsi le unghie: lo fanno soprattutto bambini e adolescenti (secondo alcune ricerche, è un’abitudine condivisa dal 20-30% dei bambini che vanno a scuola e dal 45% dei teenagers); a partire dai 18 anni, questo comportamento diminuisce anche se può persistere nell’età adulta (o cominciare).
Concretamente, il mangiarsi le unghie si sviluppa in quattro fasi: nella prima, l’occhio cade in qualche modo sul dito oppure, quel dito e l’unghia vengono “percepiti” (ad esempio grazie allo sfregamento delle dita tra di loro, oppure al passaggio dei polpastrelli). In pratica: l’attenzione viene richiamata in modo non predeterminato, non programmato.
Nella seconda fase, quel dito viene posizionato vicino alla bocca, a contatto con le labbra. Un gesto che è un po’ consolatorio e un po’ rassicurante. A quel punto – ed inizia il terzo passaggio – si modifica la posizione della mandibola e l’unghia viene picchiettata rapidamente contro i denti anteriori con piccole azioni mordaci, per lo più rapide e spasmodiche. Infine, ultima fase: le dita vengono tolte dalla bocca.
Le conseguenze dell’onicofagia, così viene definito dalla scienza il “mangiarsi le unghie”, non riguardano unicamente l’aspetto estetico del dito e dell’unghia, cuticole comprese, ma anche la salute e il benessere della bocca: in base all’intensità e alla frequenza del comportamento si possono infatti creare dei problemi alla masticazione, conseguenti alla modifica dell’assetto dei denti e della mandibola. Piccole impercettibili variazioni che però, poi, fanno la differenza.
Dalle ricerche in psicologia e dalle osservazioni, in particolare nella psicosomatica, emerge chiaramente che stuzzicarsi, mangiarsi, mordersi le unghie è, per molti, una sorta di “strategia” anti-tensione. I bambini lo fanno nei momenti di angoscia, quando a scuola non conoscono una lezione oppure mentre leggono storie tristi, ascoltano storie dell’orrore, guardano la televisione o parlano al telefono. Può anche essere un comportamento appreso dai membri della famiglia o, anche, la conseguenza di una cattiva relazione con una madre con modalità non accoglienti o aggressive.
Le ragioni degli adulti non sono molto diverse: diventa un modo automatico per scaricare disagi emozionali e stress di vario genere e intensità. Ad esempio, tra i più accaniti “mangiatori d’unghie” troviamo i “perfezionisti”: per loro, impazienti, guidati dagli obiettivi e con un alto livello di aspettativa, diventa un modo per alleggerire le inevitabili frustrazioni e delusioni. Anche sentirsi soli, specialmente nelle persone più sensibili, può indurre questa abitudine che da un lato scarica il disagio emozionale e dall’altro è un atto di auto-aggressione.
Secondo studi più recenti, potrebbe essere un comportamento ereditato: spesso infatti è una modalità scelta da chi aveva almeno un genitore che è stato per un certo periodo onicofagico (anche se ha smesso prima della nascita del figlio!).
È importante sapere poi che, in alcuni casi, la frequenza e la gravità del comportamento, ne fanno un vero e proprio disturbo: nel DSM 5, l’onicofagia rientra nel quadro ossessivo-compulsivo; è costituita da pensieri indesiderati, continui, e compulsioni cioè comportamenti attuati non per scelta ma per un impulso molto forte, “irresistibile”, a compierli.
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Qualsiasi sia l’età di chi si mangia le unghie, per eliminare questo comportamento non servono punizioni; l’attenzione all’estetica può funzionare (soprattutto con gli adulti) ma da sola quasi mai può bastare. Controproducenti sono le “minacce”, giocare con l’ironia o la derisione.
Anche i vari smalti amari che dovrebbero agire da disgustoso deterrente appena si porta il dito in bocca possono aiutare davvero solo chi è intenzionato a cambiare. L’approccio più corretto è quello olistico: arrivare alla causa, individuare il motivo per cui si agisce questa sorta di auto-aggressione.
Lavorando su questi aspetti, prendendosene cura in modo consapevole e pro-attivo, si potranno da un lato ridurre o eliminare le cause, dall’altro si riuscirà a costruire una autentica motivazione che accompagnerà, in modo efficace, tutti gli interventi più tecnici o le strategie (come lo smalto dal gusto amaro) utili o necessari.