Ignorare non è mai la soluzione migliore. Le valenze sociali, collettive e personali, individuali. La matrice dell'ignorare e la strategia per affrontare le situazioni difficili.
Ignorare, nella vita, non è mai la risposta migliore. Certo, bisogna intendersi sul significato che vogliamo dare al verbo“ignorare”: non conoscere (ad esempio le cause di un fatto, come sono andate le cose, chi si ha davanti eccetera eccetera) non è sicuramente d’aiuto.
In nessun caso. Avere le informazioni è fondamentale per poter fare le proprie valutazioni, per poter avere pensieri personali e produrre eventuali scelte: è in gioco la propria coscienza, la propria personale libertà. Meglio sapere.
Non è molto diversa la faccenda neppure se consideriamo il verbo nel significato di fingere o ostentare di non conoscere, di non vedere. Ma le sfumature di interpretazione, qui, sono più abbondanti.
A ben guardare, la nostra società sostiene la cultura dell’ignorare, in modo strategico e funzionale al mantenimento del sistema. Ad esempio: ignora le ricerche “alternative” perché vengono “dal basso”, da professionisti seri ma non sovvenzionati dalle lobby. Ignora i dati scomodi, li banalizza, li ridicolizza (invece di indagarli seriamente). Ignora le posizioni espresse dal territorio, dai cittadini per inseguire interessi alto-e-altro-locati. Se guardiamo i mass media, spesso possiamo renderci conto di come – nella maggioranza – ignorino, non indaghino i fatti, autentici, ma si fermino a sottolinearne altri, più superficiali e sciocchi (che fanno audience).
Anche ad un livello più individuale, lo stile “ignorante” è piuttosto diffuso. Uno studio del 2017 del 2017 ha dimostrato come le persone tendono ad evitare, in modo deliberato, quelle notizie e informazioni che, in qualche modo, potrebbero minacciare la loro idea di felicità e benessere.
Si può ignorare perché si hanno in mente personali o collettivi “scopi strategici” che promuovono risultati materiali; si fa finta di niente per continuare a comportarsi in un determinato modo, che piace ed è comodo: non sapere consente di non affrontare le conseguenze etiche dell’informazione, e le relative scelte personali; oppure non si dà attenzione: quei dati, quella conoscenza seppur utile potrebbe far star male oppure non si considerano davvero importanti. In qualche modo quello che viene fatto è “ignorare, minimizzare o distorcere: così molti riescono a vivere bene”.
Se consideriamo l’atto dell’ignorare come una matrice, questa potrebbe essere definita da due variabili: le tipologie e il livello.
Nelle tipologie troviamo: ignorare ciò che sta accadendo (rifiutiamo di vedere una data situazione); ignorare il problema (vediamo la situazione ma non vogliamo riconoscere, accettare che rappresenta una situazione problematica); ignorare le opportunità (si vedono sia il problema che la situazione ma non si vogliono considerare le possibilità di soluzione).
Nei livelli dell’ignorare: far finta che non ci siano alternative; si ammette la possibilità di alternative ma si mette in dubbio la loro efficacia; non si considera l’opzione di prevedere anche altre strade per affrontare la situazione; si ignorano le abilità personali per insicurezza o timore nel dover agire le opportunità disponibili.
Sia chiaro: a livello sociale come individuale, disporre di tutti i dati, tutte le informazioni su un argomento preciso non è quasi mai possibile. Se anche si avessero, sarebbero difficili da gestire con tutte le loro variabili, implicazioni e contraddizioni: è un’incontrovertibile conclusione espressa dalla ricerca scientifica. Ma è chiaro che “ignorare”, tanto più deliberatamente, è diverso dal non cercare “ossessivamente” tutte, tutte ma proprio tutte le informazioni su un argomento.
E che dire, per finire, a proposito delle relazioni? In Rete, ma non solo, è un tripudio di invito ad ignorare chi disturba, chi irrita, chi ti fa del male. Forse, a questo punto, la domanda che potrebbe sorgere spontanea è: ignorare è davvero una possibilità intelligente, è davvero la strategia?
Naturalmente non si tratta di dare energia, restare attaccati a preoccupazioni o rimuginare in continuazione su situazioni o relazioni materialmente, moralmente, affettivamente non sane o persino nocive. Tutt’altro. Ma il modo più utile, per la nostra crescita personale, è cominciare ad inquadrarle in modo diverso.
In ogni evento, situazione, parola “difficile” o impegnativa che – su qualunque fronte, in qualunque ambito di vita – ci viene incontro, in cui siamo immersi, c’è per noi una ragione “evolutiva”: può mostrarci delle parti su cui siamo “fragili” e, al tempo stesso, ci invita ad esprimere nuove capacità, a “tirare fuori” nuove qualità dell’anima e dello spirito.
Se il nostro interesse, la nostra curiosità si pone su questi aspetti utili alla nostra crescita, al nostro “empowerment”, si supera l’atto dell’ignorare: non si ignora affatto e, per questo, prendendo in considerazione il reale nucleo del “problema” (entrando quindi nel significato più profondo della manifestazione fenomenologica) si sposta il piano di attenzione e consapevolezza su un livello superiore. Si allarga lo sguardo: non si ignora ma si include in un senso più ampio; il momento negativo perde la sua centralità e diventa un elemento di un quadro che ha un altro significato.
Riassumendo: si può sapere tutto o considerare, affrontare tutto? No. Ma scegliere deliberatamente di ignorare è diverso. L’ignorare produce ignoranza e soggetti ignorati: entrambe le situazioni, prospettano scenari non costruttivi sia a livello individuale, personale, che collettivo, sociale.
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Non ignorare è sicuramente più impegnativo ma anche più arricchente, stimolante. Rende vivi, partecipi. Prima di scegliere, atto che è nella nostra libertà e responsabilità, possiamo considerarlo.
Anna Maria Cebrelli