Originariamente metodo di esplorazione della realtà per i bambini, nel mondo degli adulti l'identificazione proiettiva diventa strumento di subdola manipolazione
Indice
Non sempre la relazione fra genitori è figli è sana ed equilibrata. Può accadere che il genitore porti nella relazione paure, angosce e comportamenti negativi che lo hanno forgiato durante l’infanzia e che non è mai riuscito a superare davvero e che si trasformano in un pericolo per il figlio.
Un esempio di questo è il processo psicologico dell’identificazione proiettiva che, lungi dal restare confinato all’età dell’infanzia, l’adulto porta nella sua vita genitoriale e nel suo rapporto con i figli: vediamo in che modo.
Che cos’è l’identificazione proiettiva
L’identificazione proiettiva è un processo psicologico complesso e articolato, che è allo stesso tempo un tipo di difesa, una modalità di comunicazione, una forma primitiva di relazione oggettuale e un percorso per il cambiamento psicologico:
- in quanto modalità difensiva, l’identificazione proiettiva serve a creare un senso di distanza psicologica da aspetti indesiderati (e spesso spaventosi) del sé
- come forme di comunicazione, l’identificazione proiettiva è un processo mediante il quale sentimenti congruenti con i propri vengono indotti in un’altra persona, creando così la sensazione di essere compresi o di essere “tutt’uno con” l’altra persona
- come tipo di relazione oggettuale, l’identificazione proiettiva costituisce un modo di essere e di relazionarsi con un oggetto parzialmente separato
- infine, come percorso per il cambiamento psicologico, l’identificazione proiettiva è un processo attraverso il quale sentimenti come quelli con cui si sta lottando vengono elaborati psicologicamente da un’altra persona e resi disponibili per la re-internalizzazione in una forma alterata.
Ognuna di queste funzioni di identificazione proiettiva si evolve nel contesto dei primi tentativi del bambino di percepire, organizzare e gestire la sua esperienza interna ed esterna e di comunicare con il proprio ambiente.
Si tratta, quindi, di un processo normale e naturale nello sviluppo della personalità del bambino che cresce.
Il problema sorge quando questi comportamenti smettono di ricoprire il ruolo di ausilio alla scoperta della realtà circostante e diventano unico baluardo di difesa e strumento di comunicazione con il mondo.
L’identificazione proiettiva in età adulta
In età adulta, l’identificazione proiettiva diventa una vera e propria arma di manipolazione psicologica utilizzata da individui con tendenze narcisistiche.
A seconda del tipo di relazione che esiste fra il manipolatore e il manipolato (genitoriale, sentimentale, fraterna…), l’identificazione proiettiva lascia un’impronta più o meno profonda sulla persona che subisce la manipolazione, ovvero il proiettato.
Il manipolatore trasmette le proprie emozioni, pensieri o tratti al destinatario, inducendo un’influenza psicologica avvincente che spinge quest’ultimo a interiorizzare e identificarsi con gli elementi proiettati.
Questo intricato processo crea una narrativa emotiva condivisa tra proiettore e proiettato, offuscando i confini tra sé e l’altro.
Quando il proiettore è un genitore
Come abbiamo detto, la relazione fra proiettore e proiettato può essere di varia natura. Per quanto riguarda quella fra genitori e figli, i genitori narcisisti, con le loro peculiarità psicologiche, si ergono come candidati ideali per l’utilizzo dell’identificazione proiettiva.
La loro autostima fragile li spinge a proiettare su altri, in primo luogo sui propri figli, quegli aspetti di sé che trovano indesiderabili o minacciosi.
In questo modo, la proiezione diventa un meccanismo di difesa con la quale si costringe il bambino a interiorizzare e identificarsi con queste proiezioni, trasformandolo in una sorta di “discarica emotiva” per il genitore narcisista.
I genitori, nella loro veste di proiettori, rimangono spesso ignari del ruolo di coreografi emotivi, mentre il figlio, inconsapevole destinatario, è altrettanto all’oscuro del “copione emotivo” che gli viene imposto.
Ecco allora che, invece di affrontare le proprie sfide attraverso crescita personale o terapia, i genitori narcisisti trasmettono al figlio il proprio bagaglio emotivo ricorrendo a tattiche come la critica, il silenzio o la trascuratezza – tutto con l’intento di far credere al figlio che la vergogna e l’odio di sé siano di sua incombenza.
Inoltre, i genitori narcisisti potrebbero riprodurre inconsciamente le dinamiche della loro infanzia, perpetuando un modello distruttivo di vergogna, paura e punizione.
Non vuoi perdere le nostre notizie?
- Iscriviti ai nostri canali Whatsapp e Telegram.
- Siamo anche su Google News attiva la stella per inserirci tra le fonti preferite.
Fonti: Notes on some schizoid mechanisms / The Journal of Psychotherapy Practice and Research
Ti consigliamo anche: