L'importanza dell'ordine di nascita nella costruzione del proprio carattere-
L‘ordine di nascita influenza l’approccio al mondo e la capacità di creare relazioni, fare amicizia, agire nel gruppo e perfino il modo in cui si sceglie il partner. Secondo il medico pediatra antroposofo Karl König, determina il nostro “destino sociale” in modo simile a come il genere influenza il nostro carattere.
Lo studio, interessante e accompagnato da ricerche e osservazioni scientifiche più recenti, viene illustrato in “Fratelli e sorelle”, di Karl König (Edizioni Arcobaleno), un bel libro, ricco di aneddoti, scritto con una capacità quasi poetica e in grado di risvegliare considerazioni e riflessioni personali.
La premessa è che i figli scelgono, prima di nascere, i loro genitori. Saranno infatti la madre e il padre, con le loro caratteristiche biologiche e psicologiche, immersi in una data realtà sociale, culturale, territoriale, a definire il “contorno”: l’ambiente che influenza e contraddistingue direttamente la propria biologia, psicologia e infanzia.
Le basi su cui si dipana poi il resto della vita. Così anche il fatto che si nasca per primi o per ultimi, in una famiglia (e secondo alcuni studiosi di psicogenealogia andrebbero considerati, nel proprio asse familiare, anche i bambini per qualsiasi ragione non nati o deceduti appena nati), non è casuale e imprime determinati orientamenti. Che – precisa König – andrebbero, come ogni talento e predisposizione autentica – supportati e sostenuti dai genitori.
Essenzialmente, la struttura si può riassumere così: il primogenito cerca di conquistare il mondo. Il secondo figlio tenta di vivere in armonia con il mondo. Il terzogenito tende a fuggire la relazione diretta con la società. Il quarto, quinto e sesto figlio ripetono le tendenze di base rispettivamente del primo, del secondo e del terzo figlio. O figlia, ovviamente. Cioè: tutti i figli che nascono (o, secondo alcuni, vengono concepiti: quindi a prescindere poi dalla nascita effettiva, determinano poi la posizione) mostrano le caratteristiche di base dei primi tre.
Il primo figlio è un po’ come Giano: guarda verso i genitori (il passato), chiede e gli importa la loro approvazione, e al tempo stesso verso i fratelli e sorelle (il futuro); deve difendere la tradizione, preservarla da nuove idee; deve proteggere quel che è stato, anche se in fondo vorrebbe altro. È il simbolo della continuità con il passato che si proietta nel futuro: e quello è anche il suo posto.
Per un certo tempo (a meno che non si tratti di una nascita gemellare) è stato anche “figlio unico” e – in qualche modo – difende il suo posto. Ha una posizione unica: è l’anello di congiunzione tra i genitori e gli altri fratelli e sorelle. Per il secondo arrivato il punto centrale è conquistare quello che è difeso da un altro (il fratello o sorella maggiore, che spesso diventa anche un modello da superare o con cui entra in una qualche competizione). È spesso uno che infrange le convenzioni, si lancia verso l’ignoto: è nato “moderno”, per così dire.
Per usare una metafora di König, se i primogeniti sono le “fondamenta di un tempio nel quale l’umanità compie il culto, i secondogeniti provvedono ai pilastri e alle architravi del tempio: sostengono il tetto in quanto impronta del cielo, la volta dei cieli sopra di noi”. Il terzo figlio è un mondo un po’ a se, più vicino – come “immagine” – a quella del figlio unico.
Se primo e secondogenito sono tra loro collegati, in relazione anche complessa ma in relazione, il terzo è un “estraneo” che improvvisamente irrompe nelle loro vite. Una specie di “straniero”, tanto più al crescere degli anni di differenza con i primi due. E a quel punto farà la differenza il suo carattere: potrà fare un grande sforzo per qualificarsi come degno compagno dei fratelli maggiori oppure rinunciare, restare in disparte, sentirsi messo in disparte.
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L’approccio offerto da König è davvero interessante: per tutti, specialmente per chi vuole avvicinarsi ad un punto di vista non solo emotivo-psicologico ma anche spirituale dell’essere umano. Offre nuove comprensioni di sé, del vissuto dei propri fratelli e sorelle e degli altri in generale; rappresenta un aiuto per genitori e insegnanti e per chi lavora nel sociale: per una più profonda comprensione e sostegno dei bambini che sono stati loro “affidati” (dalla vita o per lavoro).
Anna Maria Cebrelli