Il ruolo evolutivo dell'ego: farci sentire quelle ferite che ci consentono di crescere, apprendere nuovi talenti, misurarci con il vero amore
Quando nasciamo, tra gli strumenti che ci portiamo con noi nella nuova vita, non c’è dubbio che ci siano delle sensibilità emotive “a fior di pelle”: Lisa Bourbeau le definisce “ferite”. Le principali, con cui dobbiamo confrontarci e che vengono continuamente attivate e riattivate da persone e situazioni, sono cinque: rifiuto, abbandono, tradimento, ingiustizia e umiliazione; per ognuno, alcune saranno più faticose e dolorose delle altre. Ma tutte, tutte, sono con noi non a caso: il loro compito è evolutivo, di sviluppo.
“Sono ferite dell’anima – spiega la Bourbeau, terapeuta e formatrice che dirige “Ascolta il tuo corpo”, la più grande scuola di crescita personale del Canada francese – e ci segnalano, attraverso la sofferenza e il disagio, quanto ci stiamo allontanando dal disegno del Sè, dallo scopo di vita a cui siamo chiamati (sperimentare il vero amore) e di come lasciamo che sia l’ego a dirigere le nostre giornate”.
Già, l’ego. Utile, per certi versi; brutta bestia, per altri. “L’ego – spiega Lise Bourbeau nel suo nuovo libro “Le cinque ferite – Nuove chiavi di guarigione”, per Edizioni Amrita – si nutre della nostra energia mentale, fa affidamento su quanto è successo nel passato; assomiglia ad una macchia su una tela che, inconsapevole di essere una macchia, si considera la tela”. Poiché ha paura di scomparire, tanto più in un periodo come il nostro, caratterizzato da un grande movimento di risveglio delle coscienze, fa resistenza. Tenta di nascondere la verità (cioè non vuol far sapere che è solo il Sè, collegato allo Spirito, il vero e autentico corretto conduttore della nostra vita).
Pertanto l’ego soffre quando i suoi desideri non sono soddisfatti ma anche per il semplice timore che non lo saranno. Per “difendersi” utilizza varie strategie: ama criticare gli altri (e se la racconta, dicendosi – e dicendoci – che sono solo osservazioni); cerca di impaurirci (rispetto a questa persona o quella situazione); la sua percezione è spesso esagerata rispetto al contesto reale; si identifica con l’avere e il fare.
Si può intuire che l’ego sia un po’ narcisista: per sentirsi importante cerca di ottenere complimenti, si lusinga nella riconoscenza. Non sa ascoltare veramente quello che succede o che gli viene detto, pensa solo a sé, ai suoi bisogni, ai suoi interessi. Si nutre di sensi di colpa (che immobilizzano), di comparazioni con gli altri (nel bene e nel male). L’ego è egocentrico, orgoglioso, egoista e si manifesta anche tutte le volte che ci mettiamo sulla difensiva, in cui attribuiamo la responsabilità di qualcosa a qualcun altro.
Nel tentativo di difendere la sua sopravvivenza, l’ego in realtà ci fa un dono: ci mostra le nostre “ferite”. La sua particolare “lettura” (è infatti soprattutto l’interpretazione o la percezione dei fatti – condizionate da temperamento e memorie preconsce, inconsce e consce – a causarci grande sofferenza, non quello che gli altri fanno o sono) nutre, le amplifica e le riattiva in tre modi:
- fa agire le ferite su di sé (ad esempio: rifiuto me stesso, mi abbandono, mi umilio, mi tradisco, sono ingiusto nei miei confronti)
- con comportamenti rivolti agli altri (ad esempio: rifiuto, abbandono, umilio, tradisco, sono ingiusto con qualcuno o qualcosa)
- traducendo i comportamenti altrui nei nostri confronti (ad esempio: mi sento rifiutato, abbandonato, umiliato, tradito, sono ingiusti nei miei confronti).
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Così facendo, l’ego ci costringe a prendercene cura. Abbiamo due strade per farlo: la prima è “crogiolarci”, doloranti e sfortunati, nella nostra sofferenza emotiva, compiacendo e rafforzando l’ego. Oppure, ed è la strada proposta – passo dopo passo – da Lise Bourbeau nel suo libro, possiamo scegliere di guardare le nostre ferite, conoscerle, assumendocene la responsabilità (anziché pensare che i problemi vengano dall’esterno e quindi cercare una soluzione fuori di sé).
E poi, piano piano, guarirle attraverso l’accettazione e un agire – con le persone e nelle situazioni – non sulla difensiva ma con il cuore, non per paura ma nell’ascolto autentico e nell’accoglimento – cosciente e attivo – di quello che viene incontro dalla vita. Facendone occasione per sviluppare nuovi talenti, conoscenze e capacità che diventino diverse possibilità di agire nella vita. In modo più pieno, consapevole e presente.