Il recupero di un’etica del rimorso diventa la molla esistenziale in grado di riattivare la coscienza di ognuno facendola uscire dal puro interesse individuale per poterla aprire al mondo.
“Ciascuno di noi è responsabile di tutto e di tutti, davanti a tutti e io più degli altri”, affermava Fedor Dostoevskij. Altri tempi, ahinoi.
Oggi il dito più facilmente si punta contro gli altri ma poco, pochissimo, in alcuni casi niente si rivolge l’attenzione verso la propria responsabilità, le proprie azioni. E il rimorso, poi. Per non rischiare di avere rimpianti, abbiamo dimenticato i valori e la spiritualità; divoriamo ogni cosa, prendiamo tutto quello che ci viene incontro, per brama di potere, di piacere, di tranquillità, di emozioni, di novità; per stare al passo con i tempi, perché si è sempre fatto così, perché così fan tutti.
Se lo sguardo poi si allarga, dal privato al sociale, non è che la cosa cambi anzi, si mostra in tutte le sue conseguenze macro: in un’ottica di predazione il progresso tecnologico ha portato consumismo sfrenato, distruzione dell’ambiente, sfruttamento di popoli e risorse e di conseguenza, per reazione, povertà, migrazioni bibliche. I dati più recenti segnalano un aumento del livello di povertà assoluta nel mondo (oltre 815 milioni) invertendo una tendenza positiva durata circa un decenni.
Ma noi non lo vediamo, respingiamo chi cerca una vita migliore; ci sentiamo invasi e minacciati. Eppure non dovrebbe essere“difficile capire che le responsabilità maggiori di questa drammatica crisi ormai ricadono sulle spalle della grande e ricca società dei consumi nata e prosperata in Occidente. Sarebbe ovviamente folle chiedere a ogni uomo che vive nella civiltà del benessere di indossare il saio da penitente e rinunciare a tutto per puro spirito umanitario. Ma almeno è lecito aspettarsi un sussulto di responsabilità e un piccolo sforzo da parte di tutti e una consapevolezza: sarebbe sufficiente molto meno dell’1% del PIL mondiale da investire per porre un argine consistente ai problemi legati alla povertà e ai cambiamenti climatici”, osserva Maurizio Canosa, docente di filosofia e autore di “L’etica del rimorso. La rimozione del senso di colpa nella civiltà dei consumi”, primo volume di PhiloLab, la nuova collana di Altrimedia Edizioni.
Nessun rimpianto, il meno possibile comunque. E nessun rimorso. O meglio: un rimorso, e senso di colpa collegato, egoista. Orientato sempre alla stessa logica edonistica. Sì, perché, a ben vedere, si possono distinguere tre tipi di senso di colpa: deontologico, altruistico, egoista.
Il senso di colpa deontologico è quello che emerge dalla consapevolezza di aver trasgredito i valori morali ed etici e invita, sollecita a ritornare su comportamenti orientati al bene personale e di tutti; il senso di colpa altruistico nasce invece dal rendersi conto di aver danneggiato ingiustificatamente l’altro o, in un senso più generale, dal non essersi comportati in modo altruistico: in questo caso orienta alla riparazione del danno causato e all’espressione di sentimenti e di atteggiamenti positivi verso la “vittima”.
E poi c’è il senso di colpa egoistico, quello più tipico della nostra società competitiva, che riflette il mancato raggiungimento degli obiettivi sociali e individuali di performance; questo si può esprimere in due modi: scaricando le responsabilità del proprio fallimento sul mondo esterno, oppure dando la colpa del risultato mancato a se stesso, per la propria inadeguatezza, fragilità emotiva, debolezza di carattere e via discorrendo.
Il senso di colpa egoistico si manifesta in modo chiaro, evidente: blocca la persona, la fa vivere nel passato anziché nel presente. Naturalmente i modi per superarlo ci sono: basta una ricerca on line per trovare consigli, liste di cose da fare o non fare. Certo, il senso di colpa è disturbante, impegna il pensiero, non è piacevole: dunque è da eliminare, rimuovere, per tornare all’azione secondo gli standard e le performance e gli obiettivi sociali e personali previsti. È la vita, baby.
Oppure no. Nel suo saggio “L’etica del rimorso”, con un approccio metodologico informale e un linguaggio chiaro e piacevole, Maurizio Canosa invita a “superare quei pregiudizi che rappresentano, da secoli, la vera “gabbia d’acciaio” delle nostre coscienze intorpidite dall’utilitarismo edonista: primi fra tutti, il credere che il senso di colpa sia una specie di malattia da debellare e che la felicità sia unicamente connessa al piacere, all’egoismo e alla ricchezza materiale”.
La tesi del libro in fondo è questa: il senso di colpa ci costringe fuori dalla nostra zona di comfort e ci porta a guardare noi stessi con un giusto spirito critico e considerare l’altro come qualcuno che ha bisogni suoi propri, una sua dignità, un’esistenza da riconoscere e rispettare. Solo in questa visione olistica, che considera che tutto è collegato, può svilupparsi un’autentica felicità collettiva.
“Un equilibrato sentimento di colpa, da cui anche il senso di responsabilità trae origine, può essere risvegliato però solo se si decide di uscire dalle ombre dell’inconsapevolezza – avverte Canosa – per cominciare a informarsi e a conoscere, senza pregiudizi ideologici e idee preconcette”. Con una consapevolezza: che ogni conoscenza è, o dovrebbe essere – anche – cognizione del dolore; il dolore del mondo oltre che di se stessi. Due esempi, per chiarire il concetto, vengono da Siddharta e Francesco. Il giovane e ricco Siddharta dà una svolta radicale alla sua vita, abbandonando la sua vita lussuosa e dedicandosi alla vita ascetica e contemplativa, dopo aver visto la povertà della gente: lo scontro con la realtà lo fa entrare in crisi e trovare quella compassione che diventerà la cifra del suo pensiero. Francesco smette gli abiti e le ricchezze da mercante per dimostrare a tutti come sia intollerabile il dolore e la miseria del mondo, ed è quel dolore e quella miseria che da quel momento lui vorrà condividere con gli ultimi della terra.
“Il rimorso ha molto a che vedere con la filosofia perché ha molto da condividere con il dubbio e, dunque, con la conoscenza. Anzi, a ben vedere il senso di colpa è possibile solo all’uomo preso dal dubbio. Colui che è convinto di saper tutto e di agire sempre al meglio (per il suo meglio) molto difficilmente avrà incertezze che intralcino il suo cammino e per questo quasi mai sarà preso dal rimorso. E rimarrà nella sua ignoranza”: precisa Maurizio Canosa; “il recupero di un’etica del rimorso diventa la molla esistenziale in grado di riattivare la coscienza di ognuno facendola uscire dal puro interesse individuale per poterla aprire al mondo”.
Quindi evviva il rimorso, evviva il senso di colpa: quelli attivi, che invitano all’azione, che rimettono in gioco le nostre ingenue e pacificate sicurezze, che aiutano a superare il nostro egoismo per aprirci ad azioni d’amore che abbiano uno sguardo per il bene e la crescita di tutti. Di una cosa possiamo avere consapevolezza: i nostri comportamenti incidono sulla realtà che ci circonda; dunque la realtà più vicina e più lontana dipende anche dalle nostre scelte, dalle nostre azioni. Sono il sale che farà diverso il gusto del nostro mondo.
Anna Maria Cebrelli