Disciplina come insegnamento amorevole e rispettoso: 9 passi per gestire e trasformare i "capricci" e le intemperanze dei bambini.
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Diciamocelo pure: a pensare ai capricci (dei bambini ma non solo, in verità) uno dei primi pensieri che spesso vengono alla mente è che servirebbe più disciplina. In effetti è così.
Prima che qualcuno possa sentire un prurito al naso, e storcerlo, meglio però accordarsi sul significato che si intende attribuire al termine: disciplina deriva dal latino discipŭlus «discepolo» e fa quindi riferimento all’atto dell’insegnare con chiarezza e saggezza, amorevolmente, come ogni vero maestro sa fare. Ma per noi adulti e genitori “qualunque”?
La buona notizia è che tradurre nella pratica questo tipo di “presenza” con i bambini non è difficile, basta far tesoro delle scoperte già da tempo realizzate dalle neuroscienze, raccolte e raccontate da Daniel Siegel, neuropsichiatra, e Tina Payne Bryson, psicoterapeuta dell’età evolutiva e consulente genitoriale, nel libro “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino” edito da Raffaello Cortina.
Nei bambini l’emisfero destro del cervello e l’emotività che lo contraddistingue tendono ad avere la meglio sulla logica e sulla razionalità dell’emisfero sinistro; è importante quindi saper utilizzare le loro “espressioni” e “capricci” come un’opportunità per realizzare nuove integrazione fra le diverse parti del cervello, un’occasione per imparare a considerare i sentimenti degli altri e per costruire abilità a lungo termine. Il timone che guida le scelte deve essere l’amore: e se ci fossero dei dubbi sull’efficacia di un tale approccio “disciplinare”, gli studi li fugheranno subito.
Infatti i bambini che ottengono i migliori risultati nella vita – da un punto di vista sia emotivo, che relazionale e comportamentale hanno genitori che pur restando coerenti con le indicazioni e gli insegnamenti forniti, anche nelle “intemperanze” dei figli interagiscono con loro in un modo che comunica amore, rispetto e compassione.
I risultati, come si legge nel libro, sono chiari: i bambini sono più felici, vanno meglio a scuola, si mettono meno nei guai meno e riescono a tessere relazioni più significative.
E allora ecco i 9 passi per una amorevole disciplina anti-capricci e intemperanze.
1) Fare la connessione
No, non si tratta di internet o del cellulare che non prende ma – piuttosto – di ripristinare un contatto profondo e autentico con il bambino e quello che gli sta succedendo. Se piange o urla, chiaramente non potrà ascoltare quello che gli si sta dicendo: non può perché è sopraffatto dalle emozioni (per gli adulti quasi sempre è lo stesso). La strada è sintonizzarsi sui suoi sentimenti, dimostrare comprensione e vicinanza: questo aiuta a spostare il bambino da un comportamento basato sulla reattività ad uno, invece, più ricettivo che consente di mettere insieme emozioni e pensiero.
Concretamente si tratta di: trasmettere sicurezza e serenità (se il bambino piange, e l’adulto urla, l’ambiente diventa più teso per tutti; se il piccolo urla e il genitore gli parla con tono dolce e non minaccioso, si crea uno spazio per nuove possibilità); riconoscere apertamente l’importanza del sentimento provato dal bambino (come pure l’eventuale non adeguatezza del suo comportamento); ascoltare quello che il bambino prova, aiutarlo ad esprimere il suo vissuto; rispecchiare le sue parole (riformulare quanto ha detto, così da mostrare di aver compreso profondamente) e quindi invitarlo a riflettere. Va da sé che per “fermare” un capriccio o un’intemperanza del bambino bisogna essere in uno stato d’animo calmo, non alterato dal suo comportamento.
2) Essenziali, di poche parole
Una volta ritrovata la “connessione”, è importante affrontare il problema alla base del “capriccio”, sottolineare il comportamento corretto e via discorrendo ma senza sbrodolature. Senza ripetere per mille volte le stesse cose, senza paternali che farebbero cadere l’attenzione ottenuta.
3) Accogliere le emozioni
Tutti i sentimenti sono permessi – e quindi, apparentemente sensati oppure no, possono essere espressi – ma non qualsiasi comportamento. Quindi il messaggio corretto dovrebbe essere: “Puoi sentire qualsiasi cosa tu senta, ma non puoi sempre fare qualsiasi cosa tu voglia“.
4) Descrivere i fatti, non fare la predica
I bambini, in genere, sanno se si stanno comportando bene oppure no. Invece di fare la “predica”, riportare direttamente ai fatti facilita la reciproca “connessione” e ascolto e permette di sottolineare in modo più efficace, e spesso solo implicitamente, l’insegnamento o il comportamento adeguato.
5) Coinvolgere il bambino nella disciplina
Un atteggiamento punitivo e autoritario – oltre probabilmente a interdire, ma solo a breve termine, un certo comportamento – trasmette al bambino soprattutto la consapevolezza che a dettare le regole sono i più forti: non è proprio il massimo. È la “disciplina” arcaica e incapace, che ha bisogno del bastone perché è debole di contenuti. Quello che serve è un dialogo.
Una volta che la connessione è stata fatta e il bambino è ricettivo, si può cominciare a parlare: prima verso l’intuizione (“So che conosci la regola, quindi mi chiedo che cosa ti sta succedendo che ti ha portato a questo“) e poi verso l’empatia e la riparazione integrativa (“Cosa pensi che fosse per lei, e come potresti fare le cose per bene?“).
La conversazione diventa così strumento di conoscenza, riflessione, incontro, regolazione emotiva e rinforzo dell’apprendimento.
6) Trasformare un “no” incondizionato in un “sì” che segue delle regole
Ci sono dei comportamenti che non sono negoziabili, non c’è dubbio: alcuni “no” non possono che restare tali, senza se e senza ma. Nella maggior parte dei casi però bisogna tener presente che un vero e proprio “no” può essere molto più difficile da accettare – e non solo per i più piccoli – rispetto a un sì che pone delle condizioni. Inoltre il divieto, se espresso in tono severo e sprezzante, può attivare uno stato reattivo. Al contrario, un’affermazione positiva, anche quando non consente un comportamento, attiva il circuito di coinvolgimento sociale: il cervello diventa più ricettivo, viene facilitata la connessione con le altre persone e anche l’apprendimento è agevolato.
7) Sottolinea e chiedi quello che vuoi (non quello che non vuoi)
“Metti tutti i giochi sparsi nella tua cameretta nel cestone” va decisamente meglio di “Sei sempre disordinato, la tua camera somiglia ad un campo di battaglia dopo un’esplosione”. Insomma meglio dire quello che si deve fare, parlare in positivo e in modo costruttivo, anziché ripetere quello che non si desidera vedere, quello che non si deve fare. Ed è importante valorizzare, sempre, i comportamenti corretti; anche perché, giustamente, “se ogni volta che apri la bocca vengono fuori solo critiche, quali sentimenti pensi che stiano associando istintivamente a te?”
8) Uscire dalla reazione, scegliere un’azione divertente
Ad ogni situazione si può rispondere anche con un sorriso, oppure giocando, o in modo creativo, ribaltando così completamente lo scenario e riducendo le resistenze del piccolo. Ad esempio: invece di discutere con il bambino perché non vuole entrare in macchina, ci si può trasformare in un mostro spaventoso che lo insegue fino a che non troverà riparo in un luogo sicuro. Questo consente di superare-disinnescare il “capriccio-conflitto” evocando simpatia, producendo una comunicazione sintonizzata efficace per il bambino e in grado anche di armonizzare anche l’eventuale disappunto o l’emotività dell’adulto. Impariamo a “spezzare” col divertimento!
9) Aiutare a riconoscere le proprie emozioni
Siegel e Bryson sottolineano l’importanza di aiutare i bambini ad osservare le loro emozioni. Sperimentarle è importante ma anche notarle, riconoscerle, dare loro un nome, osservarle per come si muovono dentro di loro. Si tratta, insomma, di accompagnarli in un percorso di consapevolezza emozionale che consentirà anche una migliore gestione degli stati d’animo: “vogliamo che i nostri figli non solo sentano i loro sentimenti e percepiscano le loro sensazioni ma siano capaci di notare come si sente il loro corpo, per essere in grado di testimoniare le loro emozioni”.
A proposito, i genitori perfetti non esistono (né, in fondo, ci servono). Il punto è – piuttosto – come si gestiscono i propri errori davanti ai figli: osservando, i bambini possono sperimentare che “quando c’è conflitto, ci può essere riparazione, e le cose diventano di nuovo buone. Questo li aiuta a sentirsi sicuri e non così spaventati nelle relazioni future; imparano a fidarsi, e persino ad aspettarsi, che la calma e la connessione seguiranno il conflitto. Inoltre, apprendono che le loro azioni influenzano le emozioni e il comportamento delle altre persone”.
Come si dice: dai diamanti non nasce niente, dal letame (opportunamente lavorato) nascono i fior.
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Anna Maria Cebrelli