Come togliere il pilota automatico alle nostre (cattive) abitudini e portare più consapevolezza nella nostra vita. Una pratica di mindfulness per tutti.
Il caffè alla mattina. La sigaretta dopo il caffè. Il solito giro di strada per andare a comprare il pane. O la prima che viene in mente a voi: che siano “buone” o “cattive”, le abitudini restano sempre abitudini. Si formano e rafforzano attraverso la ripetizione, diventano prassi consolidate di agire o pensare senza riflessione. Guidano, in modo automatico, il nostro vivere. Quasi non ce ne accorgiamo, e facciamo. O diciamo. Perché, in fondo, quella “cosa”, la sappiamo già.
Le abitudini non sono lì, nella nostra vita, per caso: soddisfano il bisogno di comfort e di appagamento; danno sicurezza, fanno sentire tutto sotto controllo, permettono di accedere a sensazioni di piacere non solo della mente ma anche del corpo (o consentono di abbassare il livello della tensione o del dolore percepiti). Ci ricompensano, insomma.
E così, ogni volta, succedono due cose: si rafforzano le connessioni neuronali di quella configurazione, di quel “modo” di affrontare/reagire/stare; cambia la nostra interazione nel e con il mondo: lo leggiamo attraverso le lenti delle nostre abitudini, che diventano sempre più importanti (più “salienti”). Così – ad esempio – se la mia cattiva abitudine è il fumo o il mangiare dolci, mi verrà spontaneo fumare o mangiare per affrontare i momenti difficili, di tensione, per non sentire le difficoltà, per festeggiare le gioie, per rilassarmi, per sentirmi più al sicuro e così via.
Detto in un altro modo: è un circolo che si autoalimenta; impariamo a fidarci ed affidarci, ancora e poi ancora, alle alternative, le conoscenze, le strategie che percepiamo costruttive o quantomeno ci aiutano a stare meglio, a provare meno dolore, a fronteggiare positivamente una situazione, a darci forza eccetera eccetera (che sia profondamente vero oppure no è ciò che, in fondo, distingue quelle “cattive” dalle buone).
Le abitudini consentono di “risparmiare energie” ed emozioni, permettono di utilizzare senza sforzo le conoscenze apprese ma, sempre, anche quando non sono “cattive”, ci tolgono dalla vera consapevolezza e dalla vera presenza a noi stessi; mettono sullo sfondo la possibilità di scegliere, ogni volta, tra tutte le alternative possibili in quel momento (aspetto non da poco, che ci rende protagonisti attivi della nostra vita).
La buona notizia è che – con la pratica della mindfulness – è possibile tenere i vantaggi e, un po’ alla volta, togliere il “pilota automatico”: introdurre step di attenzione, ascolto curioso e senza giudizio del proprio corpo e delle proprie emozioni per scegliere, di volta in volta, in modo consapevole, la risposta da dare in quel preciso “qui ed ora”. La gratificazione sarà ancora maggiore, così pure l’autostima e sarà sempre più forte la capacità di trovare modalità nuove e adattive, surfando costruttivamente su quanto la vita ci porta in dono.
Un esercizio guidato di mindfulness per cominciare a lavorare sulle proprie (cattive, ma non solo) abitudini:
- rovare una posizione confortevole, seduta, con la schiena dritta, il capo allineato alla colonna; tenere gli occhi chiusi agevolerà la pratica
- ascoltare il ritmo e il suono del proprio respiro, lasciando che tutto il resto (rumori, sollecitazioni) rimanga sullo sfondo. Se si presentano pensieri, guardarli velocemente senza giudizio e poi ritornare con l’attenzione al proprio respiro
- osservare, con curiosità, le sensazioni del corpo: ci sono parti che sono in contatto con delle superfici (ad esempio la sedia, o il cotone della camicia), o sono in tensione? Portare l’attenzione sulle spalle, le mani, le braccia, le ginocchia, le gambe.. e se ci sono contrazioni, portare lì il respiro. Notare se ci sono sensazioni piacevoli
- dare un nome ad una propria “abitudine”, un bisogno impellente che abbiamo e che ci fa stare bene. Ad esempio, la voglia di fumare in una certa circostanza. Oppure controllare la posta elettronica per vedere se sono arrivate nuove email. Sentiamo come questo “bisogno”, questa “urgenza” si muove nel nostro corpo, quali sono le sensazioni. È piacevole o spiacevole, forte o debole? Vorremmo trattenere la sensazione di piacevolezza o far sparire il disagio? Notiamolo, semplicemente.
- Notare come il desiderio si manifesta nel corpo. Quale sensazione fisica e dove? Resta ferma o si sposta, cambia se porto la mia consapevolezza lì e la guardo, e in che modo? E’, nella parte anteriore o posteriore; si trasforma in qualcos’altro e se sì in cosa? Quanto dura, in che modo è impellente o non lo è? Cambia se, tornando all’esempio, immagino di fumare o di guardare la posta?
- Notare cosa si prova nel prendere consapevolezza del corpo, nell’esplorare – con curiosità – abitudini e impulsi, senza essere costretti ad agirli ma restando semplicemente ad osservarli.
- Respirare, con questa attenzione, per qualche minuto lasciando affiorare qualunque desiderio e osservandolo, con curiosità, esplorando per sentirne le sensazioni, quello che vorrebbe spingere a fare, la forza, il messaggio che porta. Respirandolo e lasciandolo andare. Tenendo ogni sensazione senza giudizio, prendendo atto con curiosa consapevolezza.
- Respirare profondamente, aprire gli occhi.
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