Bambini che dormono sempre: cos’è la sindrome della rassegnazione (e perché non manda in “coma” solo i rifugiati)

Dormire per mesi o addirittura anni, senza più reagire agli stimoli esterni per sfuggire a una realtà che causa angoscia e paura: la chiamano "sindrome della rassegnazione" o "sindrome della Bella Addormentata" e colpisce i bambini e ragazzi migranti e non solo

Negli scorsi giorni vi abbiamo raccontato la triste storia del detenuto che si trova nel carcere romano di Regina Coeli e che da circa 4 mesi resta sdraiato immobile, nella sua cella, e non accenna a svegliarsi.

Il caso, rimbalzato su diversi giornali, sta destando preoccupazione e curiosità in Italia. In tanti si chiedono il motivo di questo atteggiamento, visto che dai controlli medici non è emerso alcun problema di salute. Il 28enne, di origini pakistane, è stato ribattezzato “il simulatore” dal personale del carcere dato che sembra simulare appunto la morte. Anche quando gli viene chiesto di presentarsi in tribunale, il giovane non risponde e continua a dormire.

Ma cos’ha dunque? La sua condizione potrebbe avere un nome ben preciso ed è nota come “sindrome della rassegnazione”, descritta per la prima volta in Svezia negli anni ’90. Questa non riguarda soltanto i detenuti, anzi. In realtà colpisce prevalentamente quei minori che hanno subito traumi e violenze. Cerchiamo di capire di cosa si tratta esattamente.

Sindrome del sonno profondo: in cosa consiste e chi colpisce

Come anticipato, questa condizione, nota anche come sindrome del sonno profondo o della bella addormentata), porta ad una riduzione della coscienza. Per la prima volta è stato notato in Svezia, intorno agli anni ‘90,  figli dei richiedenti asilo provenienti dai Paesi dell’ex Unione Sovietica, dalla Jugoslavia e successivamente dalla Siria.

Per anni non è stata riconosciuta dai pediatri, ma finalmente nel 2014 il Consiglio nazionale svedese per la salute e il benessere ha identificato questa sindrome con una diagnosi ufficiale, inserendola nella Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati.

Questa sindrome psicologica colpisce prevalentemente bambini e adolescenti di età compresa fra gli 8 e i 15 anni, in seguito al trauma delle violenze e dei traumi vissuti nel Paese d’origine, oltre a quello della migrazione e di tutte le conseguenze che ne derivano.

Una volta giunti in una nuova nazione, i minori portano con sé un groviglio di paure e ansie legate all’abbandono della propria terra e dei loro cari e si ritrovano a vivere in contesti totalmente nuovi, come i centri d’accoglienza e spesso vivono in un limbo, appesi alla speranza di un permesso di soggiorno che non arriva.

Questo mix di emozioni e insicurezza spinge bambini e ragazzini alla rassegnazione: così si rifigiano in un sonno profondo (quasi  una sorta di coma), non riuscendo a gestire una situazione psicologica molto pesante.

Sindrome della rassegnazione: come si manifesta e come si “cura”

La sindrome del sonno profondo si manifesta con i sintomi tipici dell’ansia e della depressione, fra cui l’apatia e la letargia. I bambini e adolescenti che ne soffrono – ma anche gli adulti che hanno subito traumi – si mostrano irritabili e si chiudono pian piano in sé stessi.

Smettono di parlare, di camminare, rifiutano e il cibo e non reagiscono più agli stimoli esterni, fino ad arrivare ad uno stato di sonno e incoscienza, che può durare mesi o addirittura anni.

Ma come si interviene in questi casi per aiutare chi si trova in questa terribile condizione? Per prima cosa in presenza di bambini o ragazzi colpiti dalla sindrome del sonno profondo è fondamentale mantenere in vita le funzioni vitali, assicurando un supporto nutrizionale e l’idratazione, ad esempio con un sondino gastrico e le flebo.

Per uscire da questo tunnel l’unica via è la terapia psicoterapeutica. In questi casi, i minori e alle loro famiglie vanno seguiti da professionisti che permetta loro di rielaborare le emozioni negative associate all’esperienza traumatica e di aiutarli a inserirsi nel nuovo contesto socio-culturale.

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Fonte: Ospedale Bambin Gesù

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