Perché gli artisti sono poveri? Il loro cervello non reagisce al denaro, parola della scienza

Povertà degli artisti: uno studio con risonanza magnetica funzionale dimostra che gli artisti hanno reazioni differenti davanti ad una possibile ricompensa in denaro.

Nell’immaginario di molti, fare l’artista (quale che sia l’arte in cui ci si applica) – a meno di non avere una botta di… fortuna – significa essere poveri. Quantomeno non ricchi. Per lo più destinati, economicamente, a “tirare avanti”. I dati disponibili sembrano confermare questo “status” un po’ in tutto il mondo, e le ragioni anche sociali sono sicuramente molteplici.

Non che sia sempre stato così, tutt’altro. Nicola Stoia, curatore di un blog sull’arte, ricorda che “arte e denaro hanno sempre camminato fianco a fianco. L’arte dell’epoca moderna si è sviluppata con più forza in quei paesi in cui non era solo il fermento culturale a essere ricco, ma anche il denaro vero e proprio girava in abbondanza. Nell’Italia del Rinascimento, nell’Olanda della seconda metà del 1600, nella Francia della Belle Époque e nell’America del dopoguerra, agli artisti, oltre a grandi commissioni e riconoscimenti, erano assicurati anche lauti compensi”.

Le cose oggi non sono più così, evidentemente. Ma il mito dell’artista povero è – secondo Stoia – anche figlio del Romanticismo, che produce la figura del genio incompreso, rifiutato dalla società e che della società non accoglie le regole, che conduce una vita spesso autodistruttiva e che muore prima di essere riconosciuto.

Sia come sia, oggi come ieri gli artisti, quelli che sentono dentro di loro il sacro fuoco della creatività, se ne fregano: la loro libertà espressiva, quello che fanno insomma, alla fine è più importante del vil denaro e non cambiano mestiere.

Pagati poco ma felici di realizzare la loro natura? Sarà davvero la passione che fa “digerire” l’ingrato riconoscimento (anche e non solo monetario) del mondo o c’è anche altro? Il dubbio, evidentemente, anzi – per metterla maggiormente sul creativo – la curiosità è venuta al dott. Roberto Goya-Maldonado, capo dei Dipartimento di Neuroscienze ed Imaging del Laboratorio di Psichiatria del Medical Center dell’Università di Göttingen, in Germania, e l’ha fatta diventare una piccola ricerca pubblicata poi sul Creativity Research Journal.

Lo studio, bisogna dirlo, va preso per quel che è: hanno partecipato solo 24 persone, 12 artisti (attori, pittori, scultori, musicisti, fotografi) e 12 professionisti non “creativi (tra cui un venditore di assicurazioni, un dentista, un amministratore aziendale e un ingegnere). Campione piccolo piccolo. Ma intanto si è cominciato.

Come è stato portato avanti il lavoro? Osservando, tramite risonanza magnetica funzionale, che cosa succedeva nei cervelli dei diversi soggetti (più precisamente si è guardato l’attività delle aree in cui viene prodotta la dopamina, un ormone prodotto quando c’è euforia, ricompensa, piacere, eccitazione) nel momento in cui ricevevano una ricompensa in denaro.

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È andata così: ogni partecipante indossava degli occhiali che mostravano una serie di quadrati in diversi colori. Quando ne appariva uno verde, potevano selezionarlo con un pulsante e ricevere fino a 30 euro di ricompensa; dovevano poi selezionarne anche altri ma senza che questo fosse collegato ad un guadagno pecuniario.

La risonanza magnetica funzionale ha evidenziato che negli artisti – quando selezionavano il quadrato verde – era presente un’attivazione significativamente più ridotta (nello striato ventrale, parte del sistema di ricompensa del cervello) rispetto al campione di controllo.

In una successiva prova, gli artisti hanno mostrato una maggiore attivazione nella corteccia prefrontale anteriore, area sempre collegata alla produzione dopaminergica, quando gli è stato detto di “rifiutare” i quadrati verdi. Cioè: gli artisti si preoccupano meno della possibilità di ricevere denaro e, anzi, si sentono meglio quando sanno che non potranno averlo o lo rifiutano.

Così l’autore dello studio conclude: “I nostri risultati indicano l’esistenza di differenti tratti neurali nel sistema di ricompensa dopaminergico degli artisti, che sono meno interessati all’ottenimento di ricompense monetarie“. Insomma non c’è niente da fare, sono proprio fatti così. Fino a prova contraria, naturalmente.

Anna Maria Cebrelli

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