10 comportamenti da evitare per essere felici

10 comportamenti che assicurano l'infelicità

10 comportamenti che assicurano un’infelicità costante

Inseguire l’aspirazione ad “essere sempre felici” è un buon modo per non avere una vita appagante e gioiosa (si è felici come conseguenza di una vita vissuta pienamente accettando le gioie e i dolori, le sfide e le vittorie che via via si affrontano). Ma è altrettanto sicuro che alcuni comportamenti ci assicurano, al contrario, un’infelicità costante.

Eccone almeno 10 che direttamente o indirettamente costruiscono, giorno dopo giorno, una profonda e radicata infelicità: li adottate anche voi? Comportamenti da cercare di limitare se andate alla ricerca della felicità

  1. Lamentarsi

Le cose non vanno come si pensa, e ci si lamenta. È una sorta di “litania”, a volte anche un po’ sommessa, per ogni cosa che non va (e naturalmente spesso si incontrano situazioni inadeguate, che non rispondono alle proprie aspettative, che non sono come dovrebbero essere, che non vanno come previsto). L’economia non va, il negozio sotto casa non fa le cose per bene, il vicino fa troppo rumore, i prezzi sono aumentati, il letto non è fatto bene, non c’è abbastanza tempo: gli esempi potrebbero essere migliaia. Il punto vero non sono le ragioni obiettive: perché se anche cambiassero, chi si lamenta sempre troverebbe altre ragioni per continuare ad esprimere la propria insoddisfazione. Il dramma è che più ci si lamenta, più si entra in questa attitudine “frignona”.

Come si risolve la “lamentosità”? Il primo passaggio è diventarne consapevoli (sì, perché spesso è qualcosa che parte in automatico, senza particolari riflessioni: diventa un modo di vedere le cose); poi fermarsi a riflettere quali sono gli aspetti che – davvero – non piacciono della persona, situazione, cosa. Quindi pensare ad un’azione concreta e pratica, per risolvere o quanto meno per modificare il proprio approccio e percezione.

E, in generale, imparare a riconoscere l’aspetto positivo e costruttivo, la bellezza di ogni situazione.

LEGGI anche: Come smettere di lamentarsi per vivere meglio

  1. Evitare i problemi

C’è un problema: lo ignoro. La mia vita sentimentale non va bene: mollo la persona con cui sto. Sono nervoso: cerco distrazioni. Devo risolvere una questione delicata, rimando. Pessima strategia: non solo la “patata bollente” rimane lì, ad attendere di essere affrontata, e può anche carbonizzarsi ma il “tema” rimane aperto e scarica, indebolisce l’energia personale.

I problemi vanno riconosciuti e poi affrontati: un piccolo passo dopo l’altro, si risolvono. L’agire focalizzato e determinato, inoltre, aumenta la forza e l’autostima, fa stare bene. Un tocco di felicità, insomma.

  1. Fare confronti

C’è chi guarda sempre agli altri, a coloro che hanno di più (almeno apparentemente): una bella carriera, una bella moglie o un bel marito, una fortuna economica eccetera eccetera. E ovviamente si lamentano perché, loro, no, non ce l’hanno, questo o quello. Loro no, gli altri sì: è un confronto al ribasso, alla mancanza, sulla sfortuna propria. Nella totale, sterile frustrazione. Non sarà un caso se l’invidia è uno dei sette peccati capitali.

Guardare agli altri ha un senso solo se diventa uno stimolo positivo a realizzare se stessi: invece di lamentarsi, meglio individuare i propri obiettivi e poi agire concretamente per avere quello che si può concretamente avere.

  1. Preoccuparsi per qualcosa che non è ancora accaduto

Lo scenario è sempre un po’ drammatico: potrebbe succedere questo o quello. Si vive nella paura, nell’allerta e nel futuro. Non si tratta di sana prudenza e prevenzione ma di un atteggiamento, preoccupato a prescindere, che non consente neanche di stare e godersi il presente.

Va da sé che anticipare scenari, pianificare situazioni può essere estremamente utile ma non lo è, mai, vivere e agire dentro un sentimento costante di ansia e timore. Che non solo, come dimostra la profezia che si autoavvera, rischia di attirare o favorire – con il proprio comportamento – anche le situazioni temute ma non consente un agire efficace.

  1. Lasciarsi sopraffare dai problemi

A volte pensiamo che i nostri problemi siano più grandi di noi, siano “troppo”. In rarissimi casi è così. Spesso riteniamo che ci siano persone che, al contrario di noi, loro – fortunate! – non hanno grattacapi rilevanti. Non è quasi mai così.

La vita ci mette davanti solo le sfide che, in qualche modo, possiamo affrontare. Certo, a volte è necessario tirare fuori gli “attributi”, fare uno sforzo volitivo e di fantasia: i problemi servono anche a questo. A seconda dell’uso che ne facciamo (costruttivo o lamentoso) possono diventare occasione di crescita, esperienza utile alla vita e all’anima.

  1. Fare cose che non piacciono

C’è una contraddizione profonda e radicata che fa sì che ci si lamenti perché si fanno cose che non piacciono e si continua a farle. Si resta in relazioni che non funzionano, in case che non ci corrispondono, in lavori che non gratificano.

Se qualcosa non “ti appartiene”, non fa più parte di te, non ti rappresenta, non ti fa vibrare, non può aiutare verso la felicità. Le strade sono due, e non necessariamente in contrapposizione: cambiare. Iniziare a fare cose che piacciono davvero: almeno una, per cominciare. Non farsi dire dagli altri cosa è giusto per noi. E poi – intanto, in attesa di fare i passi necessari per il cambiamento – focalizzarsi sugli aspetti positivi, che sempre ci sono, anche nelle situazioni che non piacciono.

  1. Rimanere in relazioni che non servono più

Amicizie diventate traballanti, rapporti professionali superficiali o compromessi, conoscenze frustranti o deludenti, a volte anche quello che prima era un vero amore: non si esce da lì. Sono “luoghi” sicuri, zone di comfort. Almeno apparentemente.

Ovviamente non si tratta di buttare-a-mare ogni relazione che non sia più brillante, utile, soddisfacente come un tempo; le persone cambiano, i rapporti anche: per volontà di uno o di entrambi possono crescere o decrescere ma mantenere comunque un livello di soddisfazione, di senso. A volte però il compromesso è al ribasso, legato solo alla comodità, alla poca voglia di affrontare la situazione e chiarirsi. Ma, alla lunga, non è una scelta felice.

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  1. Voler cambiare gli altri

Quando un amico, il o la partner, il figlio non corrispondono ai propri desiderata, può sorgere il desiderio di volerli cambiare (per amore, certo): si adottano strategie, comportamenti, si cerca di “formarli” in modo adeguato. Ma nessuno può cambiare un’altra persona; la trasformazione, vera, autentica, parte solo da una motivazione interiore (che naturalmente può essere sostenuta e onorata dagli altri): è una scelta personale.

Agire con l’aspettativa che gli altri diranno, faranno, cambieranno secondo i nostri desideri è quindi foriero di infelicità. Di questa consapevolezza però si può fare tesoro anche in un altro modo: ragionando sulla motivazione del proprio desiderio di far cambiare gli altri. Normalmente nasconde una volontà di cambiamento anche personale: e su questo sì, invece, che si può lavorare e bene!

  1. Cercare di piacere agli altri

Fare o dire cose gradite a chi ci sta intorno, solo per ricevere consensi, perché la sua “posizione” o il suo ruolo lo richiede, insomma per piacere in questo o quell’ambiente, a determinate persone, è – a lungo andare – uno sforzo infinito e quasi sempre inutile. In primo luogo perché – come insegna bene la storiella del contadino, dell’asino e del figlio – ognuno ha il suo modo di vedere le cose e se si viene approvati da qualcuno ci sarà sicuramente qualcun altro che avrà, invece, delle cose da ridire. E poi perché così facendo non si segue la propria natura, il proprio sentire: e questo sì, a lungo andare, porta ad una caduta di autostima e infelicità.

I feedback degli altri possono essere importanti, vanno tenuti anche in considerazione naturalmente, ma assegnando loro il giusto, relativo, peso. È importante vivere seguendo il proprio Sè e i propri obiettivi. E non si può, necessariamente, piacere sempre a tutti.

  1. Come le cozze: attaccarsi a un obiettivo

Come una cozza sullo scoglio: restare attaccati a qualcosa, ritenendola ferma e immutabile. Che sia una relazione, un’idea, una situazione, uno status, un obiettivo: nulla è definitivo, nulla è per sempre, nulla è immobile. Tutto cambia, si trasforma. Serve flessibilità. Non significa non avere intenzioni, volontà, goal da raggiungere ma imparare a fluire con la vita e i suoi movimenti.

Essere consapevoli, come sempre, aiuta: rende possibile il cambiamento. Avere il coraggio di essere – e agire di conseguenza – quello che si è, rispettando al tempo stesso gli altri: basta questo per far piena e soddisfacente la propria vita. La felicità, a quel punto, diventa un semplice “di cui”.

Anna Maria Cebrelli

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