Wasabi: sai perché è la salsa più usata quando si mangia sushi? Il motivo ti stupirà

Se siete amanti del sushi non potete non conoscere la famosa e piccantissima salsina verde, nota come Wasabi. Quello che forse non sapete è quali sono i veri motivi per cui, sia pure a piccole dosi, è praticamente sempre presente vicino (o sopra) al vostro sushi

Il wasabi è una salsa verde dal gusto decisamente intenso e piccante che viene sempre servita come accompagnamento al sushi o altre pietanze tipiche del Giappone.

Il nome deriva dalla Wasabia japonica, la pianta (della stessa famiglia della senape) da cui si ottiene la radice che poi grattugiata diventa il wasabi che tutti conosciamo, noto anche come “rafano giapponese”.

In realtà, nei ristoranti di sushi non sempre viene usato il wasabi originale, dato che è molto costoso. È infatti più comune trovare al suo posto la pasta di rafano miscelata a senape, amido di mais e colorante verde. Una soluzione decisamente meno cara per i ristoratori.

Ma perché si usa il wasabi nel sushi?

Il motivo non è solo quello di rendere più intenso e piccante il sapore del sushi (tra l’altro molte persone, almeno in Occidente, proprio per queste caratteristiche lo scansano) e neppure di eliminare l’odore del pesce. C’è infatti una ragione più importante legata alla sicurezza alimentare.

La presenza all’interno del wasabi dell’isotiocianato di allile aiuta a prevenire le intossicazioni alimentari che, com’è noto, sono spesso legate proprio al consumo di pesce crudo.

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Alcuni studi hanno infatti dimostrato l’effetto battericida di questa sostanza. Come scrivono gli esperti della McGill University:

Nello specifico,  l”isotiocianato di allile è stato identificato nel wasabi come un agente antimicrobico efficace contro batteri come E. coli e Staphylococcus aureus. Questa utile proprietà ha portato all’ingegnoso sviluppo dell’utilizzo dell’estratto di wasabi come conservante nei sacchetti per il pranzo in Giappone.

L’effetto dell’isotiocianato di allile (AITC) sull’E. coli e Staphylococcus aureus è stato valutato in una ricerca del 2016 che dopo gli esperimenti condotti ha concluso:

Lo studio ha mostrato che wasabi e AITC a basse concentrazioni erano batteriostatici e battericidi ad alte concentrazioni contro E. coli O157:H7 e S. aureus. Il Wasabi ha un alto potenziale per controllare efficacemente E. coli O157:H7 e S. aureus e possibili altri agenti patogeni di origine alimentare negli alimenti. La proprietà antibatterica insieme al suo colore verde naturale, al sapore unico e al vantaggio di salvaguardare gli alimenti al momento dell’ingestione, rende il wasabi una promettente pianta antibatterica commestibile naturale.

Gli esperti si mostrano inoltre convinti che c’è ancora altro da scoprire sul wasabi e i suoi possibili risvolti pratici contro le intossicazioni alimentari:

I risultati di questo studio possono essere di notevole interesse per l’industria alimentare mentre sviluppa alimenti nuovi e sicuri. Questi risultati possono anche stimolare ulteriori ricerche per valutare l’effetto antibatterico del wasabi contro altri agenti patogeni di origine alimentare e per esplorare altre piante commestibili per le loro proprietà antimicrobiche.

E in effetti altre ricerche, come segnala Joe Schwarcz della McGill University, vogliono valutare ulteriori benefici del wasabi:

Sul fronte occidentale, i ricercatori stanno esaminando in particolare l’isotiocianato come possibile bersaglio della salmonella patogena. L’effetto antimicrobico di wasabi può ancora essere diretto contro un altro flagello, vale a dire la carie. Secondo il dottor Hideki Masuda, l’isotiocianato è efficace nell’inibire la crescita cellulare di Streptococcus mutans interferendo con la capacità della cellula batterica di aderire ai denti.

Un’ultima curiosità sul wasabi

Il wasabi è molto utile anche come “adesivo naturale” per legare riso, pesce e altri ingredienti nelle composizioni tipiche del sushi.

Non sempre, quindi, lo troviamo come accompagnamento ma in alcuni casi si trova in cima alla preparazione, magari nascosto da qualche altro ingrediente. In questo caso è in piccolissime quantità.

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Fonti:  McGill University / Frontiers in Microbiology

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