Quel riso insanguinato dei Rohingya che invade le nostre tavole in attesa dell’etichettatura d’origine

Da febbraio anche il riso avrà l'etichetta di origine per il riso, un passo in avanti per evitare di acquistare il "riso insanguinato" della Birmania o di altri Paesi in cui i lavoratori vengono sfruttati.

Entrerà in vigore a febbraio l’obbligo di etichetta di origine anche per il riso. Una buona notizia, considerato che solo nell’ultimo anno in Italia sono aumentate a dismisura le importazioni dalla Birmania. Ciò vuol dire che, ignari, abbiamo spesso trovato tra gli scaffali anche del “riso insanguinato”. Cosa significa?

Se l’etichetta di origine da un lato ci consentirà di tenere d’occhio la provenienza del riso che acquistiamo e di contrastare, perché no, anche l’inganno del falso Made in Italy, dall’altro lato ci permetterà di fare acquisti etici e consapevoli, mettendo la parola fine anche allo sfruttamento e alla violazione dei diritti umani.

Sulle nostre tavole, infatti, sono milioni i chili di riso insanguinato proveniente dalla Birmania: in Italia, nell’ultimo anno, sono aumentate del 736% le importazioni del riso da questo paese, spesso raccolto anche sui campi della minoranza Rohingya, che in questo momento è costretta a fuggire a causa della violenta repressione da parte del governo (sinora si contano quasi 7mila vittime).

Lo denuncia Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi dieci mesi del 2017, in occasione del Forum sul Riso europeo a Bruxelles.

Dalle violenze di agosto – spiega Coldiretti – sono oltre 645mila i Rohingya fuggiti in Bangladesh e costretti a lasciare, tra l’altro, più di 28 mila ettari coltivati a riso a Maungdaw nello stato di Rakhine. Le importazioni di riso in Italia hanno raggiunto addirittura il valore record di 7,3 milioni di chili in soli nove mesi sulla base dei dati Istat perché, nonostante l’accusa di pulizia etnica, la Birmania gode – denuncia la Coldiretti – da parte dell’Unione Europea del sistema tariffario agevolato a dazio zero per i Paesi che operano in regime EBA (tutto tranne le armi)”.

E in occasione del Forum, allora, la Coldiretti ha chiesto proprio l’immediata adozione di misure di salvaguardia europee nei confronti dell’importazione di riso greggio asiatico e l’abolizione di quel regime praticato nei confronti dei Paesi meno avanzati (accordo EBA), che prevede la possibilità di esportare verso l’Unione Europea quantitativi illimitati di riso a dazio zero (la metà del riso importato arriva dall’Asia, in particolare da India, Pakistan, Thailandia e Cambogia che delle stesse agevolazioni della Birmania).

Il risultato è che un pacco di riso su quattro venduto in Italia contiene prodotto straniero e che le quotazioni del riso italiano per gli agricoltori sono crollate dal 58%, per l’Arborio e il Carnaroli, al 37%, per il Vialone nano, mentre al consumo i prezzi sono rimasti sostanzialmente stabili.

Un inganno che sarà possibile smascherare con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza.

Non è accettabile che l’Unione Europea continui a favorire con le importazioni lo sfruttamento e la violazione dei diritti umani nell’indifferenza generale”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “è invece necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro”.

L’Italia è il principale produttore europeo di riso con oltre 4mila aziende su poco meno di 230mila ettari, per un fatturato al consumo di circa un miliardo di euro all’anno.

Comprare riso italiano significa anche e soprattutto difendere e sostenere il duro lavoro di generazioni di agricoltori.

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Germana Carillo

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