Sono presenti da millenni sulle tavole di tutto il mondo, ma quanto i più svariati gusti culinari e le tradizioni alimentari hanno condizionato la biodiversità e la diffusione di peperoni e peperoncini? A chiederselo è un gruppo di scienziati che hanno ricostruito la storia evolutiva di questi prodotti giungendo a risultati eccezionali.
Lo studio “Global range expansion history of pepper (Capsicum spp.) revealed by over 10,000 genebank accessions”, pubblicato su PNAS da un team internazionale di ricercatori proveniente da 19 istituzioni scientifiche e centri di ricerca coordinati da Giovanni Giuliano dell’ENEA e da Nils Stein del Leibniz Institute of Plant Genetics and Crop Plant Research (IPK), ha infatti puntato ad analizzare le Solanaceae, i peperoni e i peperoncini che si trovano sia dolci che piccanti, sia freschi che conservati.
Il peperone (genere Capsicum) è una coltura unica tra le Solanaceae e da oggi i fattori che ne hanno condizionato la propagazione a livello globale, non hanno più segreti, spiega il gruppo di ricercatori italiani, che comprende Enea, il Centro di Ricerca Orticoltura e Florovivaismo del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), l’Università di Torino e Blumen Group Italy e il Consorzio Sativa.
Lo studio
Condotto nell’ambito di G2P-SOL, il più ampio progetto di ricerca europeo Horizon 2020 sulla famiglia delle Solanaceae, lo studio ha analizzato oltre 10mila campioni di specie del genere Capsicum custodite nelle banche internazionali del germoplasma.
Si tratta – spiegano – della più ampia collezione nel peperone finora caratterizzata e studiata, che rappresenta la diversità di oltre 130 Paesi nel mondo, distribuiti in 5 continenti. Mediante tecnologie di sequenziamento di nuova generazione, sono state sviluppate 26.000 sequenze barcode del DNA in grado di definire in modo univoco ciascun individuo oggetto di studio. Inoltre, sono stati adottati nuovi modelli di analisi genomica di popolazione, in grado di analizzare in modo accurato le similarità tra regioni geografiche di appartenenza delle accessioni, definendo le rotte evolutive della specie.
La ricerca ha confermato che i peperoni allo stato selvatico sono tipici della regione andina e la loro prima domesticazione è avvenuta in quello che oggi è il Messico ed in altre regioni dell’America meridionale con un processo complesso simile a quanto avvenuto per altre colture come il mais.
I ricercatori hanno poi ricostruito nel vero senso della parola le rotte di espansione e differenziazione dei peperoni post-domesticazione e sono stati identificati nuovi centri di diversità genetica in Europa Orientale, Africa e Sud Est Asiatico e individuate le diverse rotte commerciali che hanno permesso la diffusione e diversificazione del peperone dolce e del peperoncino in tali regioni.
Le tipologie dolci hanno viaggiato sulle orme dei mercanti portoghesi tra il Centro-Sud America e l’Europa, preferite com’erano dai consumatori anche e soprattutto sulla base di tradizioni culturali e culinarie per poi diffondersi tramite la via della seta in Medio Oriente e in Asia Centrale, in regioni con lunghezze del giorno e stagioni comuni che ne hanno facilitato la proliferazione. Ma gli studiosi considerano anche l’Africa come ulteriore porta d’ingresso di entrambe le tipologie (dolci e piccanti) per le regioni Asiatiche. Le varietà africane, infatti, hanno mostrato proprietà intermedie comprese tra quelle americane e asiatiche: fondamentale, anche in questo caso, sarebbe stata la mediazione dei portoghesi che – con il commercio triangolare transatlantico degli schiavi tra Africa, Europa e le Americhe durante il XVI e il XIX secolo – ha collegato la diversità del peperone in questi continenti. La via delle spezie, invece, potrebbe aver determinato la maggiore diffusione di accessioni piccanti a scapito di quelle dolci nell’areale Sud est asiatico.
Secondo la ricerca internazionale, inoltre, le regioni del genoma responsabili della piccantezza non erano distribuite in modo uniforme tra le varietà nelle diverse regioni del mondo, suggerendo come i fattori culturali abbiano esercitato un importante influenza primaria sul modello di diffusione dei peperoni.
Lo studio ha reso possibile ottimizzare i dati custoditi nelle banche del germoplasma, correggendo errori di classificazione delle specie ed eliminando le duplicazioni presenti. Inoltre, sono state inoltre identificate nuove regioni genomiche alla base di caratteristiche agronomiche d’interesse per la coltura, ad esempio per la pungenza della bacca o per il numero di pedicelli fiorali in grado di incrementare la produzione attraverso l’aumento del numero di frutti per pianta.
Quanto emerso apre interessanti prospettive per il peperone e il peperoncino piccante. Grazie, infatti, alle informazioni genomiche sulle migliaia di accessioni esistenti e conservate nelle banche mondiali dei semi sarà possibile sia lavorare a nuove potenziali varietà migliorate sia scegliere nuove aree verso le quali destinare le produzioni, sempre in un’ottica di resilienza al cambiamento climatico e di sostenibilità ambientale, conclude il principale autore dello studio, Pasquale Tripodi, ricercatore CREA.
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