I paradigmi dell’industria alimentare e la globalizzazione stanno rendendo sempre più simili gli stili alimentari dei popoli del mondo. Le differenze delle diete, tra oriente e occidente, negli ultimi decenni stanno via via scomparendo, soprattutto per quanto riguarda i Paesi industrializzati. E sono proprio le diete occidentali, basate su prodotti confezionati e monocolture, ad avere la meglio.
I paradigmi dell’industria alimentare e dell’agricoltura intensiva e la globalizzazione stanno rendendo sempre più simili gli stili alimentari dei popoli del mondo. Le differenze delle diete, tra oriente e occidente, stanno via via scomparendo, soprattutto per quanto riguarda i Paesi industrializzati. E sono proprio le diete occidentali, basate su prodotti confezionati e monocolture, ad avere la meglio.
A confermarlo è uno studio pubblicato di recente dalla rivista Pnas, con il titolo di “Increasing homogeneity in global food supplies and the implications for food security”. Fino a questo momento il fenomeno era apparso piuttosto evidente, ma non era mai stato sottoposto a studi scientifici. I risultati ottenuti appaiono probabilmente più drammatici del previsto.
Nel corso degli ultimi 50 anni le diete dei diversi Paesi del mondo sono diventate sempre più simili. Le abitudini alimentari occidentali si sono diffuse a macchia d’olio, raggiungendo facilmente Africa e Asia. Le diete locali e regionali hanno subito un’involuzione, schiacciate dal peso delle proposte dell’industria alimentare e dei supermercati.
Questo processo di omogeneizzazione ha portato gran parte del mondo a contare soprattutto su 3 risorse alimentari coltivate in modo intensivo: grano, mais e soia. È bene ricordare che gran parte della produzione di soia e di mais verrà destinata agli allevamenti, sotto forma di mangime.
La perdita della varietà in agricoltura e il predominio delle monocolture può provocare seri rischi, come la comparsa e la diffusione di malattie delle piante, che in passato hanno causato gravi carestie. L’Irlanda a metà Ottocento fu un esempio emblematico, per via delle infestazioni che colpirono le coltivazioni di patate, che detenevano il predominio nell’agricoltura nazionale.
L’alimentazione mondiale nel corso degli ultimi decenni si è arricchita in particolar modo di ingredienti e prodotti derivati dalla soia, dai semi di girasole e dall’olio di palma. Nel contempo è calato il contributo alla dieta delle coltivazioni locali, come miglio, sorgo, patate dolci e manioca (conosciuta anche come tapioca o yucca).
Si tratterebbe ormai di un trend consolidato che necessita di essere affrontato, prima che il Pianeta si trovi da un momento all’altro ad affrontare una grave carestia come quella irlandese. La dieta moderna, in generale, è sempre meno ricca di alimenti freschi, di produzione locale e a chilometri zero, mentre ad avere il sopravvento, come sappiamo bene, sono i prodotti confezionati e una cerchia ristretta di cereali.
L’impiego indiscriminato di olio di palma, inoltre, sta già provocando gravi danni ambientali, a partire dalla distruzione delle antiche foreste indonesiane. Seguire un’alimentazione più varia e ricca di cibi prodotti localmente significa dunque supportare un’agricoltura che non si basi esclusivamente sulle monoculture e distaccarsi progressivamente dall’omologazione imposta dall’industria alimentare.
Inoltre, un’alimentazione basata su prodotti freschi e di stagione, che risulti ricca di cibi differenti tra loro e non troppo ripetitiva, rappresenta un contributo importante per mantenere una buona salute. Ancora una volta possiamo essere noi per primi, con le nostre scelte alimentari, d’acquisto e di autoproduzione, a stimolare un cambiamento profondo.
Marta Albè
Fonte foto: naturallysavvy.com