Varietà antiche e moderne di grano duro hanno la stessa capacità di assorbire i nutrienti dal suolo.
Se hanno la stessa capacità di assorbire i nutrienti dal suolo, grani antichi e moderni avranno anche le stesse proprietà nutrizionali
Antichi o moderni che siano, i grani hanno tutti gli stessi nutrienti. Tutti, cioè, presentano la stessa capacità di entrare in simbiosi con i microrganismi del suolo per estrarre i nutrienti minerali utili alla loro crescita, primi tra tutti il fosforo e l’azoto.
Lo confermano i microbiologi agrari dell’Università di Pisa e del CNR e i genetisti del CREA, il Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, in uno studio pubblicato su Scientific Reports.
Quel che è emerso è che le ripetute selezioni avvenute nel corso dei secoli volte a ottenere varietà più produttive e a taglia ridotta non avrebbero prodotto effetti negativi sulla capacità delle piante di entrare in simbiosi con quei particolari microrganismi benefici con cui si assicurano il nutrimento del terreno.
Cosa sono i grani antichi
Non sono altro che varietà del passato rimaste autentiche e originali, quelle cioè che non hanno subito particolari manipolazioni da parte dell’uomo per aumentarne la resa. Tra questi il più noto e diffuso è il canadese Kamut®, ma anche l’Italia ha le sue varietà antiche, come il Senatore Cappelli, ma anche il Saragolla, la Tumminia, il Grano Monococco, il Gentil Rosso, la Verna o il Rieti.
In media questi grani costano circa il 20-30% in più rispetto ai grani moderni, anche perché sono quasi sempre coltivati con metodo biologico.
Lo studio
La ricerca è stata condotta su 108 diverse varietà di grano duro sia antiche che moderne e ha verificato che i geni Rht, responsabili della riduzione della taglia e associati all’aumento del raccolto nelle moderne varietà di grano, non interferiscono con lo sviluppo della simbiosi.
“Il grano duro, utilizzato principalmente per la produzione di pasta, è una delle più importanti piante agrarie, e rappresenta un elemento chiave della dieta mediterranea – spiegano Cristiana Sbrana del CNR e il Luciano Avio dell’Ateneo pisano. Noi in questo studio abbiamo dimostrato che non ci sono differenze fra le diverse varietà di grano duro, sia antiche che moderne, riguardo alla loro capacità di entrare in simbiosi con i funghi benefici micorrizici”.
La collaborazione tra genetisti e microbiologi ha inoltre permesso di individuare alcuni marcatori genetici, presenti in diversi cromosomi, coinvolti nei cambiamenti fisiologici che avvengono nella pianta durante lo sviluppo della simbiosi.
“La mappatura dei tratti genetici associati alla simbiosi micorrizica, individuati per la prima volta nel grano duro – sottolinea Manuela Giovannetti – potrà permettere la selezione di piante altamente suscettibili alla simbiosi, da impiegare in agricoltura sostenibile, e migliorare la comprensione delle relazioni tra caratteri fenotipici e genetici in questa importante pianta alimentare”.
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Germana Carillo