Carne rossa e eccesso di ferro non soltanto sarebbero tra le cause dell’Alzheimer, come riportato da uno studio precedente, ma contribuirebbero anche ad aumentare il rischio di malattie cardiache, almeno secondo le ricerche più recenti. Nessun rischio, invece, per quanto riguarda il ferro presente negli alimenti vegetali.
L’eccesso di ferro nella carne rossa non soltanto sarebbero tra le cause dell’Alzheimer, come riportato da uno studio condotto di recente, ma contribuirebbe anche ad aumentare il rischio di malattie cardiache, almeno secondo le ultime ricerche. Nessun rischio, invece, per quanto riguarda il ferro presente negli alimenti vegetali.
La nuova ricerca potrebbe contribuire a comprendere meglio il legame tra diete ricche di carne e malattie cardiache. La tipologia di ferro in questione viene denominata “ferro eme”. Si tratta del ferro contenuto negli alimenti di origine animale e in particolar modo nella carne rossa (ma anche nel pesce, nei molluschi, nel fegato e in altri tipi di carne). Il ferro eme viene assorbito più facilmente dal nostro organismo rispetto al ferro non-eme presente nei vegetali.
Per questo motivo, spesso viene raccomandata l’assunzione di carne come fonte essenziale di ferro. Il problema è che l’elevata biodisponibilità del ferro eme potrebbe risultare correlata all’infiammazione e al danneggiamento delle arterie. Lo studio in questione è stato condotto dai ricercatori dell’Indiana University School of Public Health di Bloomington e verrà pubblicato sulla prossima edizione del Journal of Nutrition.
Da molto tempo gli esperti sospettavano che livelli troppo alti di ferro nel sangue potessero contribuire all’insorgere di patologie cardiache, o addirittura del cancro, ma nessuno studio aveva mai condotto a conclusioni certe. Nella nuova ricerca gli scienziati hanno analizzato 21 studi che hanno coinvolto quasi 300 mila partecipanti nel corso di 10 anni.
Si tratta della prima ricerca incentrata sull’analisi degli effetti indipendenti di ferro eme e non-eme su persone a rischio di malattie coronariche. I partecipanti che consumavano soprattutto ferro eme mostravano un incremento del 57% del proprio rischio cardiovascolare rispetto a coloro che assumevano le quantità più basse di ferro eme. Il ferro non-eme, invece, non è stato associato a un rischio più elevato di malattie cardiache.
La differenza chimica tra le due tiplogie di ferro potrebbe spiegarne i rispettivi effetti sulla salute. Secondo gli esperti, la struttura del ferro eme permetterebbe al nostro corpo di assorbirlo anche quando i livelli presenti nel sangue sono già ottimali. Una volta assorbito, il ferro può velocizzare l’ossidazione del colesterolo LDL, provocando un’infiammazione in grado di danneggiare i tessuti delle arterie.
Il rischio cardiaco potrebbe essere aggravato da un basso consumo di frutta e verdura, accompagnato da un’elevata assunzione di carne. In ogni caso, gli esperti hanno sottolineato che saranno necessarie ulteriori ricerche per stabilire la relazione causa-effetto tra ferro eme e patologie cardiache.
Marta Albè
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