Negli ultimi tempi il mercato del vino ha visto uno spostamento di interesse di consumatori e produttori verso i vini biologici biodinamici. Tuttavia, questi termini causano ancora un po’ di confusione.
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Nell’immaginario collettivo, infatti, un vino biologico, come accade per qualsiasi altro prodotto contrassegnato da questa “etichetta”, è qualcosa di pregiato, genuino e sicuro. Ma quanti conoscono effettivamente le caratteristiche produttive e di imbottigliamento di un vino bio? Cosa si intende per processo di produzione biologica? Cercheremo di fare chiarezza in questo breve approfondimento.
Perché i consumatori comprano vini “bio”
Se nel 2015 solo il 17% degli italiani degustava vini biologici, nell’ultimo anno la percentuale è salita al 51%. È quanto rivela l’indagine curata da Nomisma-Wine Monitor per FederBio e AssoBio. A guidare la scelta dei consumatori è sicuramente la ricerca di materie prime e prodotti italiani, ma anche l’attenzione verso un metodo produttivo maggiormente rispettoso dell’ambiente e maggiori controlli qualitativi.
È vero, un vino biologico è sicuramente un prodotto pregiato e genuino, ma è opportuno andare oltre le definizioni d’etichetta e chiedersi perché lo si definisca tale. Il nostro Paese, dopotutto, è la patria dei vini rossi pregiati per cui siamo invidiati e apprezzati da tutto il mondo. Ebbene, quando un vino proviene da uve coltivate in vigneti certificati, ovvero cresciuti senza agenti chimici di sintesi, prende la denominazione di vino biologico.
In particolare, i vigneti che crescono secondo specifici criteri di naturalezza devono rispondere ai principi della norma CE 203/2012, per la quale è previsto che anche il procedimento di vinificazione avvenga in maniera naturale. Questo significa che un vino bio è quello prodotto in vigne cresciute senza l’aiuto di agenti chimici e vinificato con una quantità strettamente limitata di solfiti.
Cosa trovi in un vino bio?
Ecco perché quando verserai nel tuo calice un vino bio avrai il piacere di degustare un prodotto privo di concimanti di sintesi, diserbanti, pesticidi e fitofarmaci. Per di più le vigne da cui provengono le uve sono coltivate con tecniche di agricoltura sostenibile che tiene conto del valore della rotazione delle colture e di altre tecniche di miglioramento naturale della fertilità del terreno. Tutta un’altra cosa, insomma.
Difatti la vinificazione avviene senza l’uso di conservanti e additivi chimici, come l’anidride solforosa, gli scambiatori di cationi o l’elettrodialisi per la stabilizzazione tartarica del vino. Inoltre, un vino biologico imbottigliato non conterrà mai una quantità superiore a quella prevista dalla legge di anidride solforosa, ovvero 100 milligrammi per litro per i rossi e 150 milligrammi per litro per i bianchi.
Biologico, biodinamico, naturale: tutti i volti del vino
Quello della produzione di vini biologici, fino ad una decina di anni fa, era un fenomeno di nicchia ancora poco conosciuto. Al giorno d’oggi, il Ministero delle Politiche Agricole in collaborazione con Ismea ha rilevato che la filiera vitivinicola biologica copra il 20% della produzione nazionale, con una media di 4 bottiglie bio su 100.
Nel mondo, invece, si contano oltre 7 milioni di ettari di superfice vitivinicola di cui quasi il 7% viene coltivato secondo i criteri di agricoltura biologica. L’incremento dei vigneti bio ha visto un incremento del 600% negli ultimi venti anni e pone l’Europa al primo posto su scala mondiale dove Spagna, Francia e Italia sono le potenze leader delle coltivazioni biologiche di vigneti.
Differenza tra vino biologico e vino biodinamico
Un vino bio oggi si caratterizza per l’utilizzo di compost organico al posto dei fertilizzanti, una soluzione che, come vedremo anche nell’ambito di quelli biodinamici, permette di aumentare la presenza di microrganismi benefici per la sua biomassa. I vigneti alimentano la terra, favoriscono la biodiversità e sfruttano la presenza di predatori naturali per la protezione dei vigneti.
Nel caso dei vini biodinamici, invece, ci troviamo dinanzi a un’evoluzione delle tecniche di fermentazione naturale del terreno che si fonda sui ritmi naturali di sole, piante, luna e stelle. Il metodo proviene dagli studi del teorico antroposofo Rudolf Steiner, considerato il padre fondatore della biodinamica. Questa branca rifiuta l’utilizzo dei prodotti chimici con lo scopo di rivitalizzare il terreno rispetto alla sua esistenza all’interno dell’ecosistema naturale. In altre parole, prevede una serie di pratiche che sfruttano preparazioni omeopatiche utilizzate per fertilizzare il suolo, prevenire malattie e fortificare una crescita sana e naturale dei vigneti.
Gli ingredienti omeopatici vengono interrati per mesi e lasciati maturare finché il terreno sarà sufficientemente nutrito per ospitare un vigneto dal quale proverranno uve biodinamiche e vini genuini.
Da ciò ne deriva come l’interesse per i vini a marchio bio vada a originare una domanda del prodotto potenzialmente enorme coinvolgendo i principali mercati mondiali.