300mila prosciutti di Parma e San Daniele sequestrati e 140 allevamenti di suini sotto inchiesta da parte della Procura di Torino. Una vera e propria ‘prosciuttopoli’ con reati come associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio, falso, contraffazione dei marchi e truffa ai danni dell’Unione europea. La truffa era iniziata nel 2014.
300mila prosciutti di Parma e San Daniele sequestrati e 140 allevamenti di suini sotto inchiesta da parte della Procura di Torino. Una vera e propria ‘prosciuttopoli’ con reati come associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio, falso, contraffazione dei marchi e truffa ai danni dell’Unione europea. La truffa era iniziata nel 2014.
Maiali per metà danesi spacciati per italiani e carne venduta a peso d’oro. Secondo quanto riporta Il Fatto alimentare che per primo si è occupato della vicenda, in pratica maiali nati con il seme di Duroc danese, una razza diversa da quella prevista dal Disciplinare dei consorzi, venivano venduti come prosciutto Dop di Parma e San Daniele, per un valore di consumo di circa 90 milioni di euro, pari a circa il 10 % della produzione nazionale.
E come sappiamo la certificazione Dop deve avere come clausola l’utilizzo di maiali italiani e non di razze geneticamente differenti. Per questo motivo, i due istituti di certificazione che avrebbero dovuto controllare il rispetto delle norme, ovvero l’Istituto Parma Qualità e Ifcq Certificazioni, sono stati commissariati per sei mesi dal Ministero delle politiche agricole per gravi irregolarità.
Istituti che come riporta Il Fatto alimentare, dovrebbero vigilare su tutte le eccellenze agroalimentari italiane, dal Prosciutto di Modena fino al culatello di Zibello, passando per il Pecorino sardo e lo Speck Alto Adige, tanto per citarne alcuni di un lungo elenco.
Come funzionava la truffa?
Gli allevatori di Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna avevano negli stabilimenti animali del nord Europa perché assicuravano una crescita più rapida una carne più magra e una maggior resa della carcassa. Gli allevatori di Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna avevano negli stabilimenti animali del nord Europa perché assicuravano una crescita più rapida una carne più magra e una maggior resa della carcassa.
Ecco come funzionava la filiera: gli allevatori avrebbero introdotto i maiali danesi; gli ingrassatori avrebbero venduto gli animali prima dei nove mesi previsti, i macellai li avrebbero lavorati nonostante fossero di peso diverso rispetto a quanto dettato dai Disciplinari, i prosciuttifici avrebbero chiuso un occhio sulla qualità della carne. Ma ad oggi nel mirino degli inquirenti ci sono solo gli allevatori.
Possibile che nessuno si sia accorto di niente? Eppure la vicenda va avanti dal 2014 e interessa diversi soggetti della filiera produttiva. Gli allevatori chiaramente usavano razze non consentite perché ricevevano in cambio vantaggi economici, il tutto a discapito dei consumatori truffati perché non dimentichiamolo, i due Prosciutti in questione hanno un costo che va da 37 sino a 58 euro al chilo.
Il Consorzio del prosciutto di Parma di fronte allo scandalo si limita a dichiarare che “nessuna coscia dei maiali provenienti dagli allevamenti coinvolti è diventata né diventerà Prosciutto di Parma ed eventuali cosce in stagionatura sono state facilmente identificate e, se del caso, distolte dal circuito”, spiega il giornale.
Fatto sta però che in seguito all’inchiesta della magistratura, il marchio a fuoco sulla cotenna è stato tolto da centinaia di migliaia di prosciutti. Secondo gli inquirenti le frodi riguardano il periodo 2014-2017, mentre attualmente sta avvenendo un ritorno alla normalità.
RETTIFICA ALLA FOTO UTILIZZATA IN PRECEDENZA
Ci teniamo a scusarci con i lettori e con l’azienda Galloni per aver inserito erroneamente in copertina un’immagine (adesso rimossa) raffigurante il prosciutto di Parma della Galloni Spa, completamente estranea alla vicenda e tra le poche aziende ad aver tracciato i tatuaggi e controllato le genetiche dei prosciutti, oltre a garantire un controllo completo della filiera alimentare.
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Dominella Trunfio