Pomodoro cinese: lo sfruttamento dei bambini arriva (anche) sulle nostre tavole?

Ci sono intere famiglie che lavorano nei campi dove si coltiva uno degli ortaggi più consumati al mondo: il pomodoro. Tutto il giorno, tutti i giorni per un prodotto destinato all’esportazione in Italia.

Ci sono intere famiglie che lavorano nei campi dove si coltiva uno degli ortaggi più consumati al mondo: il pomodoro. Tutto il giorno, tutti i giorni per un prodotto destinato all’esportazione in Italia.

A Xinjiang ad ovest della Cina ci sono appezzamenti di terreno sconfinati, dove uomini, donne e bambini seminano, annaffiano, raccolgono pomodori. Gesti da automi sotto l’occhio vigile del capo, che a fine giornata li pagherà a cottimo. Due centesimi al metro.

È un lungo racconto quello racchiuso nel reportage del giornalista Stefano Liberti che documenta la vita dei braccianti cinesi che lavorano in tutta la filiera del pomodoro: dal campo fino alla fabbrica.

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Pomodori che finiranno nel ketchup della Heinz, in barattoli venduti nei mercati africani o in concentrati e sughi pronti.

“Nel 2016, secondo i dati dell’agenzia delle dogane, sono arrivati in Italia 92mila tonnellate di triplo concentrato made in China. Una cifra che segna un aumento del 40 per cento rispetto all’anno precedente”, scrive Liberti.

Dopo averle piantate in serra, le piante sono travasate nel terreno. È così, che tra aprile e maggio, centinaia di migranti con figli al seguito, lavorano tutti assieme nel campo.

Tra luglio e settembre, la manodopera aumenta perché bisogna raccogliere in fretta il pomodoro che tende a marcire. Per questo, i bambini sono gettonati, grazie alle loro mani piccole sono più svelti.

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Liberti spiega tutto il percorso che il pomodoro fa prima di arrivare a tavola. Centinaia di camion trasportano l’ortaggio alle fabbriche, dopo la trasformazione, viaggiano in treno fino al porto di Tianjin, vicino Pechino.

Da qui, navi cargo partiranno sugli oceani, arrivando anche nel porto di Salerno “dove il concentrato in fusti di legno da 1,3 tonnellate sarà raccolto dalle ditte trasformatrici e diluito in doppio concentrato, oppure usato per altri prodotti derivati”.

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Il giornalista si chiede poi come mai l’Italia che è il primo produttore di pomodoro da industria dell’Unione europea e il secondo del mondo dopo Usa, importa quantitativi così alti.

pomodoro cinese

La risposta è affidata a Giovanni De Angelis direttore dell’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali (Anicav), secondo cui, il pomodoro cinese “è utilizzato per lo più come materia prima in regime di temporanea importazione da parte di aziende che lo ritrasformano e lo riesportano al di fuori dell’Unione europea”.

Il direttore ribadisce:

“I nostri prodotti più commercializzati, i pelati e la passata, prendono origine da pomodoro italiano, nonostante l’allarmismo che è stato creato negli ultimi anni. La Cina in particolare produce solo la materia prima, che le nostre aziende trasformano mettendo il know-how e la capacità di gestire un procedimento industriale che non ha nulla a che vedere con quello utilizzato per produrre i beni di largo consumo sul mercato nazionale. Si tratta peraltro di un prodotto marginale nel fatturato complessivo dell’industria trasformatrice: parliamo di 145 milioni di euro su un’industria che fattura tre miliardi di euro, meno del 5 per cento del totale”.

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Differente l’opinione di Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti che invece da anni denuncia importazioni di concentrato cinese:

“Se consideriamo che per fare un chilo di triplo concentrato servono sette chili di pomodoro fresco, vediamo che l’anno scorso abbiamo importato dalla Cina e da altri paesi l’equivalente di circa un milione di tonnellate, una quantità equivalente a circa il 20 per cento della produzione nazionale”.

Confezionare concentrato cinese in prodotti italiani, danneggia tutta la filiera perché ogni paese ha i propri standard qualitativi.

Quando poi l’industria dice: ‘Non preoccupatevi, il concentrato cinese finisce in mercati esteri’, non mi pare mandi un messaggio felicissimo. Equivale a dire: manteniamo la qualità in casa, ma all’estero vendiamo prodotti scadenti. Un ottimo modo per distruggere la reputazione del made in Italy”, continua Bazzana.

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“Nulla mi vieta di pensare poi che una parte più consistente del prodotto sia utilizzata per tagliare altri sughi e derivati di pomodoro. Essendo il pomodoro riesportato sotto forma di doppio concentrato, ossia con un prodotto diverso, le tabelle di equivalenza permettono una certa elasticità”.

Una situazione, quella illustrata dalla Coldiretti, che era stata denunciata anche da Le Iene. Nel servizio televisivo c’era un’intervista ad una grande azienda che in Cina produce concentrato di pomodoro che viene spedito in Europa, Italia compresa, e che una volta giunto a destinazione viene diluito e usato per i sughi.

Dominella Trunfio

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