Pasta, adieu. Nel 2050, uno degli alimenti più rappresentativi (e più amati) del nostro paese potrebbe essere solo un ricordo. Dopo il cacao e il caffè arabica, anche la pasta è seriamente minacciata dall'incuria umana. E la colpa, sai che novità, sarà ancora una volta dei cambiamenti climatici. Lo ha detto uno studio pubblicato su Newsweek, secondo cui questo celebre alimento potrebbe avere i giorni contati
Pasta, adieu. Nel 2050, uno degli alimenti più rappresentativi (e più amati) del nostro paese potrebbe essere solo un ricordo. Dopo il cacao e il caffè arabica, anche la pasta è seriamente minacciata dall’incuria umana. E la colpa, sai che novità, sarà ancora una volta dei cambiamenti climatici. Lo ha detto uno studio pubblicato su Newsweek, secondo cui questo celebre alimento potrebbe avere i giorni contati.
Oltre a danneggiare il pianeta e la salute dell’uomo, i cambiamenti climatici stanno mettendo a rischio anche il fondamento stesso dell’esistenza umana: la nostra capacità di nutrirci. Grano, mais e riso sono alla base dell’alimentazione della maggior parte degli esseri umani. Tutti e tre sono già messi a dura prova da cambiamenti climatici, ma il grano, rispetto agli altri due, è ancora più a rischio perché è il cereale più vulnerabile alle alte temperature.
Grano non vuol dire solo pasta ma anche pane. La pasta è ottenuta dalla varietà del grano duro, mentre il pane è generalmente composto da più varietà. Ma la sostanza non cambia. E dal 2050 i piatti rischiano di rimanere vuoti. “Il grano ha bisogno di un luogo fresco. Le alte temperature sono negative per la sua crescita e per la qualità, non ci sono dubbi”, ha commentato Frank Manthey, professore della North Dakota State University. Già, solo l’aumento di 1 grado Fahrenheit (poco più di 1° C) della temperatura globale nel corso degli ultimi 50 anni ha provocato un calo del 5,5 per cento nella produzione di grano, secondo David Lobell, professore presso il Centro della Stanford University per la sicurezza alimentare e l’ambiente.
Entro il 2050, secondo lo studio dell’International Food Policy Research Institute (Ifpri), in alcune aree del mondo, tra cui il Midwest di Stati Uniti e Canada, il nord della Cina, l’India, la Russia e l’Australia ci saranno estati sempre più calde, e la produzione di grano in quel periodo potrebbe diminuire dal 23 al 27 per cento a meno, se non verranno adottati tempestivi provvedimenti per limitare l’aumento delle temperature.
“I centri internazionali di ricerca agricola e il settore privato si sono resi conto del fatto che le temperature elevate sono ormai quasi inevitabili”, ha aggiunto Gerald Nelson, ricercatore senior dell’IFPRI. “Siamo tutti preoccupati.“
Il record dell’estate del 2012, in cui si è registrato il più caldo luglio nella storia degli Stati Uniti e la peggiore siccità degli ultimi 50 anni ne sono già una prova. Le rese di mais e soia oltreoceano sono crollate nel 2012, facendo salire i prezzi alimentari a livello mondiale e generando un aumento della fame nel mondo.
Gli Usa potrebbero dunque essere uno dei paesi più colpiti, ma anche l’area del Mediterraneo rischia molto. Il problema è che il cambiamento climatico è destinato a colpire il Mediterraneo ancora più duramente rispetto agli States. La frequenza e l’intensità delle ondate di calore e l’aumento della siccità potrebbero causare nel 2050 un calo dei rendimenti delle colture dal 5 al 15 per cento in Italia e nel sud della Francia. E in in Spagna e Portogallo tali cifre potrebbero salire al 15 e al 25 per cento.
E c’è anche chi dice che nel breve periodo le temperature più calde potrebbero anche far aumentare la produzione di grano, almeno in alcune aree del pianeta. Ma il prof Senthold Asseng dell’Università della Florida, ha avvertito che questo risultato potrebbe non essere del tutto vero, soprattutto nei luoghi più vicini all’equatore, come l’India, il secondo più grande produttore e consumatore di grano al mondo dopo la Cina.
Davvero dovremo dire addio ai nostri amatissimi spaghetti?
Francesca Mancuso
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