Olio extravergine di oliva: ecco perché diffidare dalle offerte low-cost

Olio extravergine di oliva: ecco perché diffidare dalle offerte low cost

Lolio extra vergine d’oliva in Italia è in serio pericolo. La sopravvivenza di uno dei prodotti alimentari più benefici per la nostra salute è insidiata da tre pericolose minacce: l’utilizzo diffuso di insetticidi negli uliveti, la guerra dei prezzi e le sue implicazioni, e una legge vigente che non tutela la qualità. È indispensabile, dunque, acquisire informazioni e divulgarle per preservare la sua esistenza e quella degli onesti produttori locali legati ad essa.

Questi ultimi, infatti, sono costretti a competere con grandi aziende che non si fanno scrupolo di utilizzare espedienti nocivi per la salute del consumatore. Ma andiamo con ordine.

Una recente indagine dell’A.R.P.A.M. (Agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche) ha confermato una realtà inquietante: in circa 4 su 10 bottiglie d’olio extravergine acquistate in un supermercato si è riscontrata la presenza di pesticidi. Tra questi figura addirittura il Dicofol, un derivato del Ddt, insetticida proibito in Italia nel lontano 1978. Come dimostra un dossier di Legambiente, “Pesticidi nel piatto”, nella maggior parte dei casi, si tratta di antiparassitari, ovvero insetticidi organo fosfati che si caratterizzano per l’essere persistenti e bio accumulabili, con effetti neuro-tossici per l’uomo. Perché, dunque, l’olio con cui cuciniamo e condiamo i nostri alimenti contiene sostanze nocive per la nostra salute? Perché per eliminare i parassiti che si insediano negli uliveti e finiscono per compromettere la produttività del raccolto, alcuni grandi produttori scelgono la via più comoda, economica e, senza dubbio, anche la più dannosa: l‘utilizzo di insetticidi. Tuttavia, il buon olivicoltore sa come affrontarli senza ricorrere a sostanze chimiche, che non solo inquinerebbero i suoi prodotti, ma eliminerebbero anche le specie di insetti utili alle piante e all’ecosistema: ad esempio, pianta alberi che favoriscono la nidificazione di uccelli, veri e propri cacciatori di parassiti, ottenendo il duplice risultato di proteggere il proprio raccolto e arricchire la fauna.

Il buon olivicoltore non si ferma qui, ma privilegia la qualità del suo raccolto alla quantità. Per questo realizza la raccolta delle olive nel momento dell’ideale punto di maturazione, garantendo così il perfetto equilibrio fra sapore e grado di acidità. Lo stesso criterio, purtroppo, non viene seguito da alcuni grandi produttori, che al contrario raccolgono le olive soltanto quando queste raggiungono una grandezza tale da generare, attraverso la spremitura, la maggior quantità di olio possibile. La lunga attesa consente di massimizzare la produzione e le vendite, ma implica un elevato grado di acidità. Uno stratagemma, dunque, a discapito della qualità e, pure, responsabile dell’avvio di un circolo vizioso: per dissimulare l’acidità, gli stessi grandi produttori si vedono costretti a impiegare correttori chimici, che compromettono la naturalezza e le qualità benefiche dell’olio. Tale contesto, già di per se complesso, è reso ancora più complicato dalla normativa vigente.

Il regolamento comunitario 1019/2002 prevede infatti l’arbitrarietà di scelta nell’indicazione di provenienza e consente di specificarla sull’etichetta soltanto nel caso in cui la percentuale di olio italiano sia pari o superiore al 75% e la parte residua derivi da un altro Paese UE. Pertanto,si può facilmente supporre che le bottiglie di olio extravergine senza indicazione di provenienza contengano quasi sicuramente quantità considerevoli di olio estero. A suffragare questa ipotesi ci sono le 460.000 tonnellate di olio che l’Italia importa annualmente da Spagna, Turchia, Grecia e Tunisia. Purtroppo parte di tali importazioni è costituita non da oli extravergine, ma da prodotti di bassa qualità, in alcuni casi addirittura nocivi. E sono proprio questi i tipi di olio che, per colpa della legge vigente e di chi se ne approfitta, vengono utilizzati per integrare l’olio extravergine di molte delle bottiglie che troviamo nei supermercati.

Ora siamo in grado di comprendere la realtà che si nasconde dietro le luci delle offerte low cost. Oli extravergine d’oliva a cinque euro, a volte addirittura a due euro, non regalano generosamente qualità, ma ci ammaliano con il loro modico prezzo e celano espedienti dannosi per la nostra salute: pesticidi, correttori chimici, amalgama di oli diversi e mediocri. A farne le spese non è soltanto il consumatore, ma anche il produttore locale onesto, che da sempre opera nel solco della tradizione e nel rispetto dell’ambiente.

Quel produttore locale che, con il suo lavoro quotidiano, ci assicura un prodotto sano e curativo: infatti, il suo olio extravergine d’oliva riduce la percentuale di colesterolo Ldl (quello “cattivo”), i rischi di occlusione delle arterie, il tasso di zucchero nel sangue, previene l’infarto e l’arteriosclerosi, aumenta la secrezione di bile e l’apporto di vitamine importanti. Questo olio ha un costo, e questo costo non è sostenibile se la concorrenza gioca secondo regole sleali all’insaputa del consumatore. Il piccolo produttore locale non ha alternative di fronte a sé: o si adegua alle cattive pratiche o chiude. Informarsi e acquistare con consapevolezza è l’unico modo per salvare lui e noi stessi. La prossima volta che troveremo un’offerta sensazionale, sapremo di chi sarà l’affare.

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