Basta una nuova confezione per essere green? Ce lo chiediamo dopo la comunicazione che i gelati Mottarello, Maxibon e Coppa del Nonno, tutti prodotti dalla multinazionale svizzera Nestlè, quest'anno cambiano “veste”, affidandosi ad un nuovo packaging più leggero e sostenibile.
Basta una nuova confezione per essere green? Ce lo chiediamo dopo la comunicazione che i gelati Mottarello, Maxibon e Coppa del Nonno, tutti prodotti dalla multinazionale svizzera Nestlè, quest’anno cambiano “veste”, affidandosi ad un nuovo packaging più leggero e sostenibile.
In particolare «il peso delle confezioni multipack del Mottarello e del Maxibon è stato ridotto del 7% rispetto al 2009 con un risparmio di circa 20 tonnellate di cartoncino, mentre la nuova confezione multipack della Coppa del Nonno consentirà di evitare ogni anno l’emissione di 70 tonnellate di CO2, grazie alla riduzione delle sue dimensioni e alla conseguente ottimizzazione degli spazi durante il trasporto», fa sapere la Nestlè.
Queste innovazioni pare (lo scetticismo è d’obbligo in questi casi) che abbiano consentito di evitare l’emissione di 123 tonnellate di CO2, quantità che viene assorbita in un anno da una superficie di bosco pari a 38 ettari, ovvero equivalente a 53 campi di calcio.
Ma si può davvero parlare di rivoluzione verde se ci si riferisce alla più grande multinazionale alimentare del mondo, spesso purtroppo associata a scandali e sfruttamenti? O non è piuttosto uno dei sempre più frequenti episodi di greenwashing aziendale?
Ormai è assodato che sono sempre più i consumatori che hanno un occhio di riguardo verso la sostenibilità ambientale e sociale di ciò che comprano, orientando i propri comportamenti d’acquisto verso scelte critiche e ragionate. E gli esperti di marketing e pubblicità non si sono certo lasciati sfuggire questa “rivoluzione del consumo”, dirigendo le proprie campagne di comunicazione proprio verso le tematiche più green.
Ben venga quindi qualsiasi tipo di innovazione che porti una riduzione degli sprechi e dell’inquinamento, ma non dimentichiamoci mai di non credere ad occhi chiusi ai dati che ci vengono forniti, di verificare sempre le informazioni e di non farci abbagliare da pubblicità accattivanti e ingannevoli.
In questo caso, ad esempio, stiamo pur sempre parlando della società coinvolta nello scandalo del latte in polvere del 2005, o in quello del latte cinese contaminato alla melammina di qualche anno dopo. E stiamo sempre parlando di una multinazionale che fa del profitto selvaggio il suo principale obiettivo, orientando il mercato a discapito dei piccoli produttori e delle popolazioni più povere del mondo.
La nostra speranza è, ovviamente, che queste operazioni di restyling aziendale siano davvero dettate da una coscienza verde. L’invito è invece a tenere gli occhi ben aperti per smascherare quelle che sono solo di facciata!
Eleonora Cresci