A meno di non voler chiudere i battenti, anche le industrie che producono il cosiddetto junk food o “cibo spazzatura” devono porsi l'obiettivo di vendere, convincendo i consumatori ad acquistare i propri prodotti al di là della loro qualità e dei loro effetti sulla salute.
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Non potendo puntare sulla bontà di quanto producono, le aziende scelgono altre note per stimolare l’acquisto, attuando oculate strategie di marketing. Ecco le 5 più comuni:
Strategia “Essere ovunque sia il mio target”
La maggior parte dei brand adotta una tattica di studiata visibilità per promuovere i propri prodotti, collocandoli proprio lì dove è più facile incontrare il target di riferimento: ad esempio, non è un caso che le campagne promozionali dedicate ai più piccoli trovino spazio in prossimità dei luoghi frequentati dai bambini, quali scuole materne, elementari, palestre, impianti sportivi, centri culturali o ricreativi. Allo stesso modo, il cosiddetto product placement, con determinati articoli e alimenti che compaiano in serie televisive o produzioni cinematografiche rivolte a target specifici, non è mai il frutto di pure e semplici coincidenze. Infine, non sono mosse dalla casualità né, almeno nella maggior parte di casi, da una disinteressata simpatia, le attività di sponsorizzazione di eventi sportivi, culturali, benefici o di spettacolo.
Strategia “Un tocco di scienza sta bene su tutto”
Ci sono situazioni in cui lo scetticismo è d’obbligo. Prendete ad esempio questo dato di fatto: molte (troppe…) multinazionali e industrie alimentari vantano studi scientifici e statistiche particolarmente favorevoli ai loro prodotti. Sarà un caso? Nel dubbio, il consumatore dovrebbe diffidare delle ricerche commissionate e sovvenzionate da una determinata azienda alimentare e non limitarsi mai ad ascoltare un’unica campana. Nel caso di questo tipo di studi, infatti, si corre troppo spesso il rischio che i risultati siano più vicini alla pubblicità che all’oggettività scientifica.
Strategie “Ok, il prezzo è giusto!” e “Più acquisti, più risparmi”
Una scelta di marketing piuttosto diffusa ma sempre efficace consiste nel puntare sul prezzo: sconti, offerte speciali, 3×2 o simili spingono molto spesso i consumatori a non interrogarsi sulla qualità e sul valore nutritivo del prodotto che mettono nel carrello della spesa e a ritenere il proprio acquisto un “affare” a prescindere.
Strategia “Convincere i bambini per spingere i genitori a comprare”
L’industria alimentare sa che i bambini rappresentano una fetta di mercato particolarmente appetibile, grazie alla loro ricettività e alla loro capacità di orientare e influenzare le scelte di consumo delle famiglie. D’altro canto, studi e ricerche mostrano come una parte significativa delle iniziative promozionali e degli spot pubblicitari a cui i bambini sono esposti su base quotidiana promuova prodotti con valori nutritivi bassissimi, se non addirittura nulli.
Riguardo alla ricettività dei più piccoli, uno studio pubblicato qualche anno fa sul “New England Journal of Medicine”, Food Marketing and Childhood Obesity- A Matter of Policy di Marion Nestle, dimostrava, a partire dall’analisi di spot e promozioni destinati ai piccoli statunitensi, che le campagne pubblicitarie che riguardano cibi ipercalorici sono determinanti nelle scelte alimentari dei bambini. Proprio per questo, nel 2010 gli Stati che aderiscono all’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno diffuso una serie di raccomandazioni per ridurre l’esposizione dei bambini a messaggi di marketing legati ad alimenti caratterizzati da grassi saturi, grassi idrogenati, zuccheri semplici o sale.
Il dato di fatto è che molte aziende puntano ad attirare l’attenzione dei più piccoli con linee di prodotto divertenti, colorate, di forme diverse e simpatiche (ad esempio, sagome di animali), dotandole di un packaging originale oppure associandole a gadget e giochi particolari (emblematico è l’esempio dell’Happy Meal di McDonald’s). Molti brand scelgono di promuovere i propri prodotti utilizzando l’immagine di personaggi dei cartoni animati, da quelli più “classici” ai cartoon del momento, oppure affidandosi ad un testimonial di sicuro successo, come un campione sportivo, un cantante o una teen star. Altri ancora puntano su internet e sulle risorse digitali, veicolando il proprio prodotto attraverso giochi interattivi (i cosiddetti advertgame), applicazioni web e mobile e iniziative sui social network.
Tali tecniche di persuasione più o meno sottili sono state messe a nudo in un documentario uscito qualche anno fa, Consuming Kids: the Commercialization of Childhood (2008), interamente dedicato al bombardamento mediatico e pubblicitario che viene esercitato quotidianamente sui bambini per incentivare la vendita dei prodotti a loro dedicati.
Strategia “Sei un buon genitore se…”
I bambini sono indubbiamente condizionati dal ricorso al gadget, dall’immagine divertente di un personaggio dei cartoni animati particolarmente amato, dal sorriso smagliante del testimonial del momento, ma non sono gli unici soggetti influenzabili. Il marketing pensa anche ai loro genitori, che detengono l’ultima parola sugli acquisti. Immagini di luoghi idilliaci e incontaminati, scene che coinvolgono famiglie giovani, affiatate e gioiose ed headline emozionali, che magari etichettano l’acquirente di un determinato prodotto come “genitore migliore”, promettendo benessere, salute e felicità per i suoi figli, hanno molta presa sulle mamme e sui papà, orientandone più o meno consapevolmente gli acquisti. In fondo in fondo, chi non vorrebbe essere, almeno per una volta, il genitore perfetto degli spot pubblicitari?