Il 50% del pesce che mangiamo è di allevamento

L'acquacultura ha ufficialmente sorpassato l'attività di pesca, secondo lo studio di un team di ricercatori, guidato da L. Rosamond Naylor, docente di scienze della Terra ambientali del sistema presso la Stanford University e direttore del Programma di Stanford sulla sicurezza alimentare e l'ambiente.

Il principale motivo è ovviamente la domanda di consumo, che richiede pesci ricchi in particolare dei grassi Omega 3. Lo studio, riportato da dalla rivista online “Proceedings of the National Academy of Sciences” e da Science Daily, sottolinea come l’industria dell’allevamento è più efficiente che mai, e lo è anche mettendo a dura prova le risorse marine, consumate in grandi quantità sotto forma di mangimi a base di pesce selvatico.

Infatti, per massimizzare la crescita e migliorare il sapore del pesce d’allevamento, le aziende di acquacoltura utilizzano grandi quantità di farina e olio di pesce a base di specie selvatiche meno pregiate, come le sardine.

Tra le conclusioni, vi è anche quella secondo cui l’ecosistema potrebbe essere minacciato da questa enorme espansione industriale; una soluzione prospettata è quella di ridurre le qualità del pesce di allevamento, anche di poco, riducendo la quantità di mangimi ricavati direttamente dall’ecositema marino.

Per quanto riguarda i mari però, le priorità sono decisamente altre, le minacce pure.

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