La dieta vegan fa bene all'ambiente più di quella vegetariana e dell'onnivora. E' quanto sostiene un articolo appena pubblicato sul numero di settembre della rivista scientifica internazionale "Foods"da autori italiani
La dieta vegan fa bene all’ambiente più di quella vegetariana e dell’onnivora. L’impatto ambientale della dieta è legato soprattutto al consumo di cibi animali. Questo è vero da ogni punto di vista: cambiamenti climatici, consumo di energia, di acqua, di suolo, smaltimento delle deiezioni, deforestazione, uso di sostanze chimiche. Senza dimenticare le conseguenze sociali, vale a dire la possibilità di nutrire tutti gli abitanti della Terra.
È quanto sostiene un articolo appena pubblicato sul numero di settembre della rivista scientifica internazionale “Foods”da autori italiani. Al suo interno si calcola e confronta l’impatto ambientale di tre diverse tipologie di dieta: vegan (100% vegetale), latto-ovo-vegetariana (include latticini e uova ma esclude ogni tipo di carne e pesce), onnivora. Il risultato, a conferma dei già numerosi studi in questo settore, dimostra come la dieta di gran lunga meno impattante sia quella vegan, fornendo anche precise indicazioni numeriche.
L’articolo, dal titolo “Impatto ambientale totale di tre schemi dietetici in relazione al contenuto di cibi animali e vegetali” (Reference: Baroni, L.; Berati, M.; Candilera, M.; Tettamanti, M. Total Environmental Impact of Three Main Dietary Patterns in Relation to the Content of Animal and Plant Food. Foods 2014, 3, 443-460.) utilizza come metodo di analisi l’LCA (Life Cycle Assessment), una procedura standardizzata per la valutazione dell’energia utilizzata e degli impatti sull’ambiente causati dalle attività sotto studio.
In questo caso, le attività sono quelle di produzione dei cibi che compongono le diete esaminate (formate dagli ingredienti che una persona consuma nell’arco di una settimana). Le 3 diete elaborate sono tutte basate sulle linee guida del dipartimento per l’agricoltura statunitense (USDA) del 2010, le quali forniscono informazioni e consigli per la scelta di una dieta salutare, composta da cibi ricchi di nutrienti. Il metodo LCA consente di ricavare, per ciascuno scenario studiato (vale a dire per ciascuna dieta), un cosiddetto “single score”, un “punteggio totale”, tanto più alto quanto maggiore è l’impatto sull’ambiente di quello scenario.
La figura 1 rappresenta il single score (utilizzando l’indice Ecoindicator99), ordinato in modo crescente, dei vari tipi di dieta per diversi contenuti calorici (e quindi diverse quantità di ingredienti). Come si vede, le diete 100% vegetali (indicate come VEG) hanno un impatto sempre minore delle altre, qualsiasi sia il contenuto calorico. Vengono poi le diete latto-ovo-vegetariane (indicate sul grafico come LOV) e da ultime, con impatto maggiore, quelle onnivore (OMN sul grafico).
Consideriamo la dieta da 2400 calorie, per un confronto numerico preciso tra i 3 tipi di schema alimentare: il single score della dieta vegan è di 0,95, quello della latto-ovo-vegetariana è 2,7 e per l’onnivora abbiamo 4,41. Confrontandole tra loro, l’impatto della LOV è 2,8 volte maggiore (vale a dire, è il 280%) di quella vegan; l’impatto dell’onnivora è 4,63 volte (il 463%) quello della dieta vegan.
Peraltro, va sottolineato che la dieta onnivora suggerita dalle linee guida non è la dieta onnivora media consumata nei paesi industrializzati: le diete latto-ovo-vegetariane e onnivore che rispettano le linee guida sono largamente basate sui vegetali, al contrario di quanto accade per le diete reali (sia onnivore che latto-ovo-vegetariane).
Solo per questo motivo i numeri risultanti dal confronto con la dieta vegan sono relativamente bassi: certo, l’impatto della dieta onnivora già così è 4,63 volte tanto rispetto a quella vegan, e non è poco, ma tale differenza in realtà è molto maggiore per le diete onnivore abituali dei paesi industrializzati.
Dicono gli autori: “l’evidenza di un legame tra un alto consumo di carne, e altri cibi animali, e una salute precaria è sempre crescente. I fattori maggiormente responsabili sono probabilmente l’alto contenuto in grassi saturi e in sale dei cibi animali e il fatto che il consumo di cibi animali limiti il consumo di cibi vegetali salutari come frutta, verdura, noci, legumi e cereali.“
Conclusione? Le conseguenze di uno spostamento radicale verso una dieta a base vegetale sono molte e positive: “una influenza sostanziale sui cambiamenti climatici, un’utile diminuzione nello spreco di acqua ed energia, un minor ricorso alla deforestazione, un uso più razionale dei terreni fertili (che porterebbe anche a un’enorme diminuzione dell’uso di sostanze chimica in agricoltura)”, spiegano gli autori, che terminano con un invito alle istituzioni a fare la loro parte per indurre i cittadini a questo cambiamento virtuoso:
“le istituzioni nazionali e mondiali e la stessa comunità scientifica possono fare molto per velocizzare la transizione verso abitudini dietetiche più sostenibili ecologicamente, e più sane“.
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Roberta Ragni
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