Non mangiare carne fa bene al pianeta. A poche ore dall'inizio della Conferenza ONU Rio+20, evento che prima di iniziare rischia già di diventare un flop, la LAV dice la sua sui cambiamenti climatici: gli allevamenti intensivi e l'eccessivo consumo di carne sono una delle principali cause di inquinamento. Partono, allora, una serie di proposte, esaminate in 10 punti, per una nuova politica alimentare "sostenibile", attuabile subito sia dai Governi che dalle singole famiglie.
Non mangiare carne fa bene al pianeta. A poche ore dall’inizio della Conferenza ONU Rio+20, evento che prima di iniziare rischia già di diventare un flop, la LAV dice la sua sui cambiamenti climatici: gli allevamenti intensivi e l’eccessivo consumo di carne sono una delle principali cause di inquinamento. Partono, allora, una serie di proposte, esaminate in 10 punti, per una nuova politica alimentare “sostenibile”, attuabile subito sia dai Governi che dalle singole famiglie.
Dopo aver analizzato e stimato i veri e complessivi costi del ciclo di produzione della carne, analizzando tutti gli impatti, ambientali, economici, salutari, etici, che questa produzione genera, secondo i più importanti studi internazionali degli ultimi anni, l’associazione animalista pubblica il Rapporto “I costi reali del ciclo di produzione della carne“, curato da Gaia Angelini, presentato oggi a Roma e consegnato al Ministro dell’Ambiente Clini.
L’Unione Europea è il più grande importatore ed esportatore mondiale di prodotti zootecnici e il primo importatore mondiale di prodotti zootecnici dai paesi in via di sviluppo, è il terzo produttore mondiale di emissioni di C02 dopo Cina e USA e, dunque, si conferma indiscusso leader politico globale per la lotta al cambiamento climatico. Per questo, secondo la Lav,”l’industria zootecnica deve essere oggetto di profondi cambiamenti che non rappresentano solo una trasformazione di processi industriali, ma una profonda revisione dei modelli alimentari finora orientati non in funzione delle esigenze alimentari e nutrizionali delle popolazioni, ma effetto di programmi di produzione industriale legate ad esigenze di crescita economica“.
È necessario adottare politiche di sostituzione della produzione delle proteine animali verso le proteine vegetali e l’eliminazione di sussidi lungo tutta la filiera zootecnica, che hanno determinato danni ambientali, economici, di benessere e alla salute dei cittadini. “La Conferenza Rio +20 deve essere l’occasione per un accordo imperniato su misure efficaci per una svolta sul futuro del nostro unico Pianeta, tramite la riduzione degli impatti degli allevamenti intensivi sull’ambiente e sugli animali”, dichiara Paola Segurini, responsabile LAV Vegetarismo e Cambiamenu.it. Per questo Rio +20 deve essere il momento in cui le istituzioni, dopo centinaia di studi scientifici che lo confermano e lo consigliano, adottino politiche per un’alimentazione sostenibile su base vegetale.
Ecco allora il decalogo delle principali raccomandazioni che il legislatore nazionale e comunitario dovrebbero fare propri in una prospettiva collettiva di modello alimentare sostenibile:
1) Riconvertire gli allevamenti intensivi che si basano su processi di tipo industriale
2) Abolire i sussidi che incentivano la produzione di carne al fine di ridurne in modo significativo la produzione; incentivare la produzione di proteine vegetali per il consumo umano anziché per mangimi.
3) Abolire l’esportazione e importazione di animali vivi da paesi non-EU e i sussidi che li sostengono.
4) Promuovere tramite la Riforma della PAC, la produzione e il consumo di proteine vegetali anziché la carne come alternativa responsabile e sostenibile da un punto di vista ambientale, economico ed etico.
5) Dedicare alle proteine vegetali una linea di finanziamento nel quadro finanziario della PAC e spostamento dei sussidi alla carne verso le proteine vegetali, fino all’abolizione di qualsiasi contributo alla filiera zootecnica.
6) Effettuare studi tecnici internazionale indipendenti sulle emissioni di gas serra associate al ciclo di produzione della carne.
7) Includere le emissioni di CO2 del ciclo di produzione della carne nel sistema europeo di scambio dei diritti d’emissione e nei negoziati internazionali.
8) Fissare chiari obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dal ciclo di produzione della carne.
9) Introdurre una tassa sulle emissioni di CO2 provenienti dalla zootecnia.
10) Introdurre una normativa di etichettatura e tracciabilità della carne e prodotti carnei in modo che i consumatori possano riconoscere senza sforzo la provenienza dell’animale, dove sia stato eventualmente trasportato, come e dove sia stato allevato, quanti chilometri abbia percorso in vita e dove sia stato ucciso e macellato. Inoltre l’etichettatura dovrà chiaramente specificare i metodi di allevamento utilizzati. Questo aiuterà a guidare i consumatori verso una scelta responsabile.
Roberta Ragni
Leggi anche:
– La carne rossa serio pericolo per la salute
– Pink Slime: lo scandalo della “melma rosa” che sta minando il consumo di carne negli USA