Il Governo Italiano ha detto un secco NO alla produzione di carne sintetica nel nostro Paese. La Peta, organizzazione no-profit a sostegno dei diritti degli animali, attraverso una lettera/appello a Giorgia Meloni, chiede però di ripensarci
Come ormai è noto, a fine marzo il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che riguarda il divieto di produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici, tra questi ovviamente la carne sintetica o coltivata.
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Per chi ancora non sapesse esattamente di cosa stiamo parlando, con il termine di carne sintetica si intende la carne coltivata in vitro che non deriva quindi dalla macellazione degli animali. Questa si produce prelevando cellule muscolari dei bovini, ad esempio, che poi vengono nutrite per favorire la crescita del tessuto.
Una volta che il processo è partito, si può continuare a produrre carne all’infinito senza aggiungere nuove cellule da un organismo vivente.
Evidenti dunque i vantaggi che riguardano il benessere animale in primis, ma anche la sostenibilità ambientale. Sembra infatti che questa tipologia di carne possa fare davvero la differenza, come dimostrano anche alcuni studi di cui vi abbiamo parlato.
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La chiusura totale del Governo Italiano, dunque, non è affatto qualcosa di buono e la Peta ha deciso di intervenire per cercare di far cambiare idea all’esecutivo.
La lettera/appello della Peta
È di pochi giorni fa la lettera/appello indirizzata a Giorgia Meloni, firmata da Mimi Bekhechi, Vicepresidente PETA Foundation del Regno Unito, Europa e Australia.
La lettera fornisce una serie di spunti interessanti sull’argomento che, si spera, il Governo intenda approfondire, per capire se la scelta fatta sia davvero la migliore.
Nella lettera, senza tanti giri di parole, si arriva subito al punto cruciale:
Siamo preoccupati per il disegno di legge che vieta la produzione di carne coltivata in laboratorio nel territorio italiano, in quanto essa può svolgere un ruolo importante nel ridurre i danni ambientali e i rischi per la salute pubblica. Vi esortiamo a ritirare il disegno di legge e a incentivare un futuro consapevole e orientato al benessere del pianeta. La carne coltivata ha il potenziale di ridurre drasticamente il cambiamento climatico.
Al contrario:
Allevare animali per l’alimentazione richiede enormi quantità di terreno, cereali e acqua. L’agricoltura animale è anche una delle principali fonti di emissioni di anidride carbonica, protossido di azoto e metano, gas che hanno un ruolo importante nel riscaldamento globale.
Si ricordano inoltre, dati alla mano, i principali vantaggi ambientali. Per produrre carne coltivata:
- si generano l’87% in meno di emissioni di gas serra
- vi è il 90% in meno di utilizzo del suolo
- il 96% in meno di impiego di risorse idriche
Non può mancare, ovviamente, anche un riferimento alla salute. Proprio questo era uno degli aspetti criticati dal Governo italiano che ha dichiarato di non poter escludere che gli alimenti prodotti artificialmente abbiano delle conseguenze negative per la salute degli esseri umani.
La Peta rassicura:
La carne prodotta in laboratorio è anche molto più sicura per la salute umana. Il morbo della mucca pazza e l’influenza aviaria, per esempio, non possono diffondersi in un laboratorio in vitro nel modo in cui possono farlo in un allevamento intensivo. E la carne coltivata è priva di antibiotici così diffusi nella gran parte della carne animale. Stipati insieme in capannoni, agli animali negli allevamenti vengono somministrate massicce dosi di antibiotici per mantenerli in vita.
C’è poi da considerare, come già dicevamo all’inizio, il vantaggio in fatto di benessere animale. Nessuna mucca, pollo o altro animale, sarebbe più ucciso o tenuto in allevamenti intensivi dove vengono spesso commessi abusi per produrre cibi di cui – tra l’altro – possiamo fare benissimo a meno.
La conclusione della lettera non può che esortare il Governo Italiano a cambiare idea, sostenendo la carne coltivata ma anche incrementando l’utilizzo di prodotti vegetali. Difficilmente però il Governo Meloni, fortemente orientato al “made in Italy”, prenderà spunto da questa lettera per ampliare le proprie vedute in merito.
Fonte: PETA
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