Si torna a parlare di carne coltivata in Italia, l’Università di Torino cerca fondi attraverso una campagna di crowdfunding

L’Università di Torino ha lanciato una campagna di crowdfunding per un progetto di ricerca sulla carne coltivata, CultMeat. Oltre al reperimento di fondi sufficienti, l’obbiettivo è avvicinare la cittadinanza ad una ricerca di cui si discute ancora molto ma che potrebbe davvero contribuire combattere l’insicurezza alimentare e gli allevamenti intensivi

Sta facendo molto discutere l’iniziativa dell’Università di Torino che, pochi giorni fa, ha lanciato una campagna di crowdfunding per un progetto di ricerca sulla carne coltivata, CultMeat. Con questa mossa, i ricercatori vogliono sia trovare i fondi necessari sia avvicinare la cittadinanza ad una ricerca di cui si discute ancora molto ma che potrebbe davvero contribuire a combattere l’insicurezza alimentare e gli allevamenti intensivi.

La carne coltivata è sintetica?

La carne coltivata non può essere definita sintetica in senso stretto, quindi questa argomentazione, in realtà, non sussiste. Se si intende infatti per sintesi il processo chimico di produzione tramite altre sostanze combinate non siamo in questo caso. Si parla semmai di biosintesi.

Per carne coltivata si intende un prodotto finale biologicamente identico alla carne tradizionale, ma ottenuto tramite crescita in un coltivatore piuttosto che in un intero animale, utilizzando quindi l’unità di costruzione principale: le cellule – spiegano infatti gli scienziati sulla pagina di raccolta fondi aperta su Ginger Crowdfunding – Andando più nel dettaglio, vengono utilizzate cellule del muscolo scheletrico ottenute partendo da cellule staminali

In altre parole vengono prelevate cellule staminali dai muscoli di animali in vita e, in un bioreattore, si generano le condizioni per la loro replicazione fino alla formazione del tessuto, biologicamente identico a quello da dove è stato effettuato il prelievo e quindi perfettamente commestibile come quello preso dall’animale allevato e poi ucciso.

Gli allevamenti intensivi, un enorme problema ambientale ma anche sanitario

carne coltivata torino

©Università di Torino

Per rispondere all’enorme richiesta di carne che proviene soprattutto dal mondo occidentale, si sono diffusi sempre di più gli allevamenti intensivi, sistemi di allevamento dove molto spesso gli animali vengono torturati, fatti crescere in condizioni disumane e uccisi poi in modi che non sempre rispettano le leggi sullo stordimento preventivo. E già questo dovrebbe bastare a vietarli.

Ma c’è molto di più. Innanzitutto la ricerca ha ormai dimostrato che questi luoghi sono tra i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane. Le emissioni di gas serra prodotte qui rappresentano infatti il 17% delle emissioni totali dell’Unione europea, ovvero più di quelle di tutte le automobili e i camion in circolazione messi insieme. I numeri sono allarmanti: la zootecnia dell’Europa emette l’equivalente di 502 milioni di tonnellate di CO2 l’anno.

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La loro realizzazione, inoltre, sta contribuendo alla deforestazione in Amazzonia. Oltre il 90% degli incendi in quest’area del mondo è infatti appiccato illegalmente da allevatori e agricoltori per ricavare terreni da destinare all’allevamento di bovini da carne oltre che per piantagioni di soia (usata come mangime per gli animali negli allevamenti intensivi di tutto il mondo).

E, come se non bastasse, gli allevamenti intensivi stanno contribuendo alla diffusione di malattie anche trasmissibili all’uomo, costituendo vere e proprie bombe a orologeria per la salute pubblica (basti pensare ai casi di influenza aviaria o di peste suina africana, che si diffondono a macchia d’olio, portando le autorità nazionali e regionali a intervenire con piani per contenere i virus, ovvero l’abbattimento di tutti gli esemplari negli stabilimenti dove scoppia un focolaio).

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The last but not the least, in questi luoghi infernali vengono usati massivamente antibiotici per prevenire infezioni batteriche, e questa pratica sta contribuendo in modo significativo allo sviluppo di batteri resistenti, che possono anche attaccare l’essere umano.

Leggi qui il nostro approfondimento.

La storia della carne coltivata in Italia

Il nostro Paese si è “distinto” a novembre 2023 come primo e per molto tempo unico Paese al mondo a vietarla. Con 159 voti favorevoli della maggioranza, 34 astenuti e 53 voti contrari, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il DDL (fortemente sostenuto da Coldiretti), che vieta di produrre, vendere, somministrare, distribuire o promuovere alimenti a base di colture cellulari, prevedendo sanzioni da 10 a 60 mila euro.

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A febbraio di quest’anno però, la Commissione Europea ha bocciato la legge italiana, chiudendo in anticipo la procedura TRIS (Sistema di informazione sulle regolamentazioni tecniche), spiegando che il nostro Paese, con il divieto sopra citato, ha violato la normativa Ue.

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Si è dunque tornati a parlarne e soprattutto a cercare vie sempre più innovative e sostenibili per la produzione di questo alimento.

La campagna dell’Università di Torino (e i suoi scopi)

carne coltivata torino

©Università di Torino

L’Università di Torino ha selezionato CultMeat con la terza edizione del bando Funds TOgether, sviluppato insieme a Ginger Crowdfunding, che gestisce Ideaginger.it, la piattaforma con il tasso di successo più alto in Italia.

L’obbiettivo non è solo reperire fondi per la ricerca in sé, ma anche quello di aiutare le ricercatrici e i ricercatori ad acquisire le competenze necessarie per sviluppare campagne di crowdfunding efficaci e sostenerle economicamente. L’Università di Torino, infatti, raddoppierà i fondi raccolti tramite crowdfunding con un ulteriore contributo di 10.000 euro.

E c’è un terzo obbiettivo: con una campagna di crowdfunding la cittadinanza è direttamente coinvolta e il loro contributo economico è anche una misura del suo apprezzamento, che affianca la fattibilità scientifica del progetto. Siamo infatti ormai in un’epoca dove i cittadini devono essere necessariamente parte attiva dei processi di cambiamento.

Il crowdfunding si sta dimostrando uno strumento straordinario per coinvolgere le persone in questa importante sfida scientifica

riferisce Alessandro Bertero, leader scientifico del progetto.

E la carne coltivata può essere davvero un processo di cambiamento.

La carne coltivata può rappresentare una risposta concreta ai problemi ambientali e culturali che il nostro sistema alimentare attuale non può più ignorare – spiega su questo Sveva Bottini, membro del team di Cult Meat – […] ridurre il consumo di risorse naturali, abbattere le emissioni di CO₂ e garantire il benessere animale sono tutti obiettivi che questo progetto si propone di raggiungere

La risposta dei cittadini

carne coltivata torino

©Università di Torino

Come si legge sulla pagina, la campagna ha raccolto oltre 10.000 euro grazie al supporto di più di 235 donatori, fondi che saranno utilizzati per isolare le cellule staminali suine e acquistare i materiali necessari per trasformarle in cellule muscolari e produrre il primo prototipo di carne coltivata.

Servono però almeno altri 20.000 euro.

Per sostenere la campagna, è necessario collegarsi a questo link.

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Fonti: Università di Torino / Università di Torino/Youtube / Ideaginger

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