Francesco Mutti, amministratore delegato dell'omonima azienda, chiede all'UE di imporre un dazio del 60%, o bloccare del tutto, le importazioni di concentrato di pomodoro cinese. Un modo concreto per proteggere la produzione italiana dalla concorrenza sleale
Da tempo in Italia la concorrenza del pomodoro cinese è al centro di un acceso dibattito, sono ormai anni che agricoltori e produttori nazionali denunciano pratiche di mercato sleali. Il tema è legato principalmente alle importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina, venduto a prezzi notevolmente inferiori rispetto a quello italiano.
Un problema non da poco dato che, mentre i produttori italiani affrontano rigorose regolamentazioni, le importazioni cinesi godono di costi ridotti. La questione però non è solo di tipo economico, riguarda infatti anche il rispetto delle normative ambientali e sociali.
Ma come tutelare il pomodoro made in Italy? Sulla questione è intervenuto Francesco Mutti, amministratore delegato della nota azienda di conserve alimentari, contattato dal Financial Times.
Tramite il quotidiano economico-finanziario britannico, l’imprenditore ha lanciato un appello urgente a Bruxelles affinché tuteli la produzione nostrana dalla concorrenza cinese che mette a rischio la “dignità del pomodoro italiano” e minaccia il futuro degli agricoltori del nostro Paese.
Per affrontare il problema, propone l’introduzione di un dazio del 60% sui prodotti cinesi o, in alternativa, il blocco delle importazioni, una mossa simile a quella adottata dagli Stati Uniti che nel 2021 vietarono le importazioni dallo Xinjiang a causa delle violazioni dei diritti umani.
Mutti ha dichiarato:
Dovremmo fermare l’importazione di concentrato di pomodoro dalla Cina o aggiungere una tassa del 60% su di esso in modo che il suo costo non sia così diverso da quello dei [prodotti] italiani.
Il contesto della concorrenza cinese e l’allarme sui diritti umani
Come già dicevamo, al centro del dibattito sul pomodoro cinese non c’è solo il discorso economico e di concorrenza sleale ma anche un problema ambientale e sociale. Ambientale perché il pomodoro che si produce in Cina ha regolamenti meno stringenti ma anche perché, come ha documentato il commissario per i diritti umani dell’ONU, viene prodotto violando alcune normative, tra cui quella contro il lavoro forzato, in questo caso della minoranza uigura.
Su questa questione però Pechino nega, definendo le accuse una “bugia” usata per indebolire la Cina. Il ministero degli Esteri cinese in merito ha dichiarato:
Si spera che le persone e le istituzioni europee competenti riconoscano gli schemi malevoli dietro la cosiddetta menzogna del ‘lavoro forzato’, si astengano dal danneggiare l’immagine della Cina e non utilizzino ciò come pretesto per attuare misure protezionistiche commerciali.
Proteggere il pomodoro italiano è essenziale
Secondo il World Processing Tomato Council, si stima che la Cina rappresenterà circa il 23% della produzione mondiale di pomodori nel 2024, con un incremento rispetto al 18% del 2023.
Secondo il Nottingham Rights Lab, circa il 13% del totale di concentrato di pomodoro cinese viene spedito nell’UE, in particolare in Italia, dove viene ulteriormente lavorato, diluito o mescolato con prodotti a base di pomodoro locale e poi riconfezionato, principalmente per l’esportazione.
Importante ricordare infatti che le leggi del nostro Paese sull’etichettatura dei prodotti alimentari, proibiscono la commercializzazione del concentrato di pomodoro cinese diluito come passata. Il rischio di frodi, però, è dietro l’angolo, tutti ricorderete lo scandalo Petti di qualche anno fa: Allarme pomodori cinesi: cosa c’entrano le passate italiane? Tutti gli scandali storici (tra importazioni e rischio frodi)
Secondo Mutti (e non solo), l’arrivo in Italia di questi prodotti a basso costo mina la competitività del settore italiano. La disparità nei costi di produzione crea un contesto di “dumping ambientale”, dove gli agricoltori italiani sono costretti a rispettare standard elevati, mentre la produzione cinese sfugge a simili restrizioni.
Mutti ci tiene a sottolineare che, senza misure protettive, l’Italia potrebbe perdere il suo patrimonio agricolo a vantaggio di un modello produttivo più economico, ma meno sostenibile. Il rischio è infatti che molti agricoltori italiani trasferiscano le proprie attività all’estero, riducendo il valore della produzione nazionale e abbassando i livelli di qualità e sostenibilità ambientale.
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Fonte: Financial Times
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