Siamo abituati alle denunce di galline in batteria, di maiali rinchiusi in gabbie minuscole, di anatre ingozzate per ingrassare il più possibile, di vacche spremute fino all’ultimo centilitro di latte, meno spesso conosciamo però, ciò che si cela dietro l’industria degli allevamenti intensivi del pesce.
Siamo abituati alle denunce di galline in batteria, di maiali rinchiusi in gabbie minuscole, di anatre ingozzate per ingrassare il più possibile, di vacche spremute fino all’ultimo centilitro di latte, meno spesso conosciamo però, ciò che si cela dietro l’industria degli allevamenti intensivi del pesce.
Negli ultimi dieci anni, le associazioni animaliste e ambientaliste conducono delle vere e proprie battaglie per la difesa degli animali che sempre più spesso, negli allevamenti intensivi, subiscono torture di ogni genere. Maltrattati, bastonati, vivono tra le feci e a volte, anche tra i cadaveri di quelli che non ce l’hanno fatta.
Tanti passi avanti ci sono stati e il numero delle persone che ha scelto un’alimentazione sostenibile, vegetariana, vegana o a bassissimo apporto di proteine animali è notevolmente cresciuto. Dopo le investigazioni sono anche arrivate le promesse degli allevatori, ma la strada è ancora tutta in salita.
Se la situazione di galline, ovini e bovini è sotto gli occhi di tutti, altrettanto non si può dire del pesce e dei frutti di mare, ciò non toglie che ricevono il medesimo trattamento. Pensiamo ad esempio, ai salmoni che vengono privati del loro istinto di riprodursi risalendo i fiumi e sono costretti a vivere in recinti alimentati con coloranti chimici per dare loro un aspetto rosa arancio.
O ancora ai gamberi. Forse non tutti sanno, che quelli che troviamo nel banco freezer dei supermercati provengono da allevamenti intensivi che comportano inquinamento, distruzione di ecosistemi, deforestazione costiera e ancora erosione del suolo.
In particolare, per costruire aree destinate all’acquacoltura vengono distrutte intere foreste di mangrovie in paesi come Vietnam, Tailandia, Filippine, Bangladesh, Ecuador e Brasile. In generale nell’Unione europea il 20% della produzione ittica deriva da allevamenti: in testa ci sono i salmoni, poi i molluschi e ancora i pesci di acqua dolce.
Non restano immuni cozze, vongole, ma anche spigole, orate, saraghi, trote. Una lista lunghissima a cui è riservato lo stesso trattamento. Secondo Mercy For Animals, un gruppo che si occupa del benessere degli animali statunitensi, è necessario cambiare la percezione che abbiamo dei pesci.
Non a caso sono tanti quelli che non mangiano la carne, ma il pesce si. I consumatori si preoccupano? ‘Così così’, rispondono dall’associazione.
“Bisogna però sapere che al pari degli animali che vivono sulla Terra, anche i pesci sono allevati in cattività, spesso in acqua sporca dove proliferano malattie e mortalità. Per non parlare dei metodi crudeli di macellazione: dal gettarli in acqua bollente ancora vivi o a tagliargli la testa appena fuori dall’acqua o ancora a una morte per soffocamento”, spiegano da Mercy For Animals.
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Per questo motivo, l’associazione negli Stati Uniti ha lanciato una campagna per sensibilizzare il consumatore sulle proprie scelte alimentari. Sapere da dove viene il pesce che portiamo in tavola è importante al pari di una fetta di carne, del latte e delle uova.
Dominella Trunfio
Foto: Reuters