Frutti che in passato erano largamente impiegati, oggi appaiono come "dimenticati": scopriamo quali sono, le ragioni di tale status ed una rinnovata riscoperta
Indice
I “frutti dimenticati” rappresentano un patrimonio prezioso di biodiversità agricola e cultura gastronomica che merita di essere riscoperto e valorizzato. Stiamo parlando di frutti un tempo comuni che sono stati progressivamente abbandonati a favore di colture più adatte alla produzione su larga scala e alle esigenze del mercato moderno.
Il loro recupero è oggi considerato non solo una questione di gusto, ma anche di sostenibilità e conservazione della biodiversità.
L’evoluzione dell’agricoltura e la selezione delle colture
Nel corso del Novecento, l’agricoltura ha subito una trasformazione radicale, dove le esigenze della produzione di massa e le logiche del mercato hanno portato a una selezione rigorosa delle colture, privilegiando quelle in grado di garantire una maggiore conservabilità, un aspetto attraente, un sapore dolce e una facilità di coltivazione. Un simile processo ha relegato molte varietà di frutta tradizionale nell’oblio, confinandole nell’ambito dei “frutti dimenticati”.
I frutti in questione non sono stati abbandonati per mancanza di qualità, ma perché non rispondevano ai criteri di produttività e commerciabilità richiesti dall’agricoltura industriale. Ad esempio, le moderne varietà di frutta sono spesso selezionate per la loro capacità di resistere alle ammaccature e di mantenersi fresche per settimane, caratteristiche essenziali per i lunghi tempi di trasporto e stoccaggio. Anche l’aspetto estetico gioca un ruolo fondamentale: frutti più grandi, lucidi e dal colore uniforme sono preferiti dai consumatori, anche a scapito del sapore o delle proprietà nutritive.
Un altro fattore determinante è la dolcezza: i gusti dei consumatori, influenzati dalla diffusione di dolciumi e merendine, tendono a preferire frutti più zuccherini e con aromi semplici. Di conseguenza, molte varietà tradizionali, dal sapore più complesso e meno dolce, sono state accantonate.
Infine, la facilità di coltivazione è un altro criterio cruciale nella selezione delle colture. Le varietà più resistenti e meno costose da produrre sono state privilegiate, mentre quelle più delicate o che richiedevano cure particolari sono state progressivamente abbandonate.
Le banche della frutta: custodi della biodiversità
Nonostante l’abbandono di molte varietà tradizionali, in Italia e nel mondo esistono istituzioni dedicate alla conservazione della biodiversità agricola. Tra queste, il Centro Nazionale del Germoplasma Frutticolo svolge un ruolo fondamentale, conservando e studiando il patrimonio genetico delle coltivazioni autoctone. Istituti di questo tipo, vere e proprie “banche della frutta”, custodiscono un immenso capitale naturale, fondamentale non solo per la conservazione della biodiversità, ma anche per la possibilità di selezionare nuove varietà migliorate.
A livello globale, la FAO stima che esistano circa 1750 banche del germoplasma, che custodiscono oltre 7,4 milioni di varietà vegetali. Tra queste, il più famoso è lo Svalbard Global Seed Vault, situato nelle isole Svalbard, in Norvegia, e inaugurato nel 2008. Questo “caveau dei semi” rappresenta una riserva strategica per la sicurezza alimentare mondiale, in caso di catastrofi naturali o eventi avversi.
Il declino della biodiversità agricola
Nonostante gli sforzi per la conservazione, è innegabile che l’evoluzione agricola moderna abbia portato a un impoverimento della biodiversità. Secondo la FAO, nel corso del Novecento, il 75% della biodiversità agricola è stato abbandonato, un dato particolarmente preoccupante se consideriamo che molte di queste varietà potrebbero essere cruciali per affrontare le sfide future, come il cambiamento climatico e le nuove malattie delle piante.
Alcuni studi stimano che entro il 2055, il cambiamento climatico potrebbe portare all’estinzione del 16-22% dei parenti selvatici di colture molto diffuse, come patate, fagioli e arachidi. Anche in Italia, un paese tradizionalmente ricco di biodiversità agricola, si è assistito a un drastico declino delle varietà coltivate. Ad esempio, l’80% delle mele consumate oggi appartiene a sole tre varietà, nonostante in Italia se ne contino quasi un migliaio.
Frutti dimenticati: un patrimonio da riscoprire
Ma quali sono esattamente i “frutti dimenticati”? Quelli che un tempo facevano parte della dieta quotidiana e che sono stati progressivamente abbandonati a favore di varietà più commerciali?
Tra i frutti dimenticati più noti troviamo le nespole. Consumato sin dai tempi dei Romani, ha una buccia spessa e una polpa dolce e pastosa, particolarmente adatta alla preparazione di marmellate e liquori. Le giuggiole, un altro frutto dimenticato, erano già conosciute nell’antica Grecia e sono apprezzate per il loro sapore dolce e la consistenza simile a quella della mela. Anche le mele e pere cotogne meritano una menzione: questi frutti, dalla polpa dura e astringente, sono ideali per la preparazione di marmellate e gelatine, e hanno anche proprietà toniche e antinfiammatorie.
Altri frutti dimenticati includono i corbezzoli, utilizzati per marmellate e vini; le sorbe, piccole pere che vanno lasciate fermentare prima del consumo, e le corniole, frutti aciduli adatti per infusi e marmellate. Anche le azzeruole, simili alle nespole, e le ciliegie bianche, penalizzate dal loro colore poco attraente, ma dal sapore dolce, fanno parte di questo patrimonio da riscoprire.
Un caso emblematico di riscoperta e valorizzazione è quello della pesca tabacchiera, anche detta pesca piatta, una varietà originaria dell’Etna che, grazie a un progetto di selezione genetica, è stata resa resistente al freddo ed oggi è ampiamente diffusa e apprezzata dai consumatori.
La riscoperta dei frutti dimenticati: un futuro sostenibile
Il recupero dei frutti dimenticati non è solo una questione di nostalgia o di valorizzazione delle tradizioni locali. Conservare una vasta gamma di varietà agricole è essenziale per affrontare le sfide future, come il cambiamento climatico e la diffusione di nuove malattie. Alcuni geni recuperati dal passato potrebbero rivelarsi decisivi per salvare le colture moderne.
Fortunatamente, negli ultimi anni si sta assistendo a un rinnovato interesse per questi frutti. Le tradizioni locali, che hanno spesso preservato queste varietà, stanno ora trovando nuovi sbocchi di mercato, grazie a un crescente interesse per i prodotti locali e a chilometro zero. Eventi come la Festa dei Frutti Dimenticati, che si tiene ogni anno a Casola Valsenio, sull’Appennino romagnolo, testimoniano il successo di queste iniziative di tutela e valorizzazione.
Come ribadito più volte, la riscoperta dei cosiddetti frutti dimenticati permette il recupero di un importante patrimonio culturale e gastronomico, oltre a promuovere un’agricoltura più sostenibile.
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