La pesca intensiva di krill, un minuscolo crostaceo, sta minacciando sempre più la sopravvivenza di pinguini, balene e pesci
La pesca intensiva di krill, un minuscolo crostaceo abbondantissimo in mare, sta minacciando sempre più la sopravvivenza di pinguini, balene e pesci che di esso si nutrono
Il krill è una delle specie animali più abbondanti sul nostro pianeta: se ne stimano circa 400 milioni di tonnellate solo in Antartide. Si tratta di un anello fondamentale per la catena alimentare: con il suo apporto in ferro e altri nutrienti è cibo essenziale per molti animali marini come balene, pinguini e foche; in alcune regioni del mondo, come in Russia o Giappone, viene consumato anche dall’uomo. Inoltre, il krill svolge un ruolo vitale anche nel contrasto all’inquinamento, contribuendo ad abbassare i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera: la presenza di krill negli oceani può assorbire fino a 12 miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera.
Purtroppo però, l’essere umano sta distruggendo anche questa preziosa risorsa: il krill è da molti anni utilizzato nell’acquacoltura per nutrire i pesci allevati; nello scorso decennio si è assistito a una vera e propria ‘corsa all’oro’ per l’olio di krill, diventato un complemento alimentare sempre più comune nella nostra dieta per il suo altissimo contenuto di acidi grassi omega-3.
La Cina sta costruendo il più grande peschereccio destinato alla pesca di krill nell’Antartico, che sarà completato nel 2023; nel frattempo, il paese ha già raddoppiato le attività di pesca di krill antartico, passando da 50.423 tonnellate di krill pescato nel 2019 a oltre 118.353 tonnellate nel 2020. Anche altri paesi, come Russia e Corea del Sud, stanno facendo investimenti sempre più importanti nel settore della pesca del krill. Secondo questo report, si stima una crescita nelle vendite al dettaglio di olio di krill che supererà il 13% entro i prossimi due anni – senza contare le attività di pesca di questo crostaceo per uso alimentare o negli allevamenti intensivi.
(Leggi anche: Il mare sta esaurendo i pesci, ma i governi aumentano i sussidi per la pesca intensiva nonostante le promesse)
Insomma, anche se le imbarcazioni che si dedicano alla pesca di krill nell’Antartico sono ancora solo una dozzina, il numero di crostacei pescato è impressionante (ogni imbarcazione può arrivare a pescare più di 1.000 tonnellate di krill al giorno) e l’impatto di queste attività sull’ambiente e notevole. Esistono dei limiti quantitativi alla pesca di krill, che fissano un tetto massimo di krill che può essere sottratto all’ecosistema marino ogni anno: nel 2010, la Commission for the Conservation of Antarctic Marine Living Resources (CCAMLR) ha stabilito un limite di 620.000 tonnellate di krill pescato all’anno in quattro diverse aree – una volta raggiunto il tetto, la pesca di krill deve bloccarsi fino all’anno successivo.
Ma questo non basta per salvare l’ambiente: le zone dedicate alla pesca del crostaceo sono molto limitate e vengono depauperate ogni anno a un ritmo sempre più veloce. Pescato tutto nella stessa zona, il krill scarseggia poi per le specie animali che lì vivono e che di questo mollusco si nutrono – colonie di pinguini, balene, ma anche foche marine e pesci. Non si sta sfruttando l’intero Antartico (se si guarda ai dati generali, solo l’1% del krill presente nell’ambiente viene pescato ogni anno), ma se si guarda alle piccole aree dedicate alla pesca, lo sfruttamento si vede eccome, con conseguenze pesanti per l’intero ecosistema.
Il prossimo ottobre, i 26 membri del CCAMLR (25 nazioni e l’Unione Europea) decideranno se rivedere questi limiti alla pesca o se addirittura eliminarli del tutto – cosa che accadrà certamente se non verrà raggiunto un accordo fra i partecipanti. L’assenza di limiti alla pesca di krill rappresenterà davvero la distruzione dell’ecosistema, secondo i biologi.
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Fonte: Oceans
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