Da Granarolo ad Amadori, le marche che usano ancora uova di galline rinchiuse in gabbia

Cage-free? Non tutti. Ti svelo quali aziende in Italia non hanno ancora assunto un impegno pubblico a utilizzare uova di galline libere

L’onda lunga dell’end-the-cage-age si fa sentire, certo, ma ancora non basta. Non solo suini e vitelli, anche le galline hanno diritto a non essere rinchiuse in gabbia, tanto che sono migliaia le aziende in tutto il mondo che hanno deciso di prendere ufficialmente le distanze dalla pratica degli allevamenti in gabbia per le ovaiole.

Ma, in Italia, a differenza della decisione di ben oltre 150 aziende di rendere pubblico il loro impegno a non rifornirsi di uova provenienti da allevamenti di galline rinchiuse in gabbia – l’assunzione di questo impegno avviene attraverso la sottoscrizione di una policy cage-free riportando anche pubblicamente i progressi fatti – catene come La Piadineria e Fratelli La Bufala non hanno ancora assunto un impegno pubblico sul loro sito.

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E non solo.

Chi NON ha una politica cage-free

  • il Gruppo Veronesi, che comprende AIA, Amadori, Ovofast, Cascina Italia e Parmovo
  • Granarolo che, nonostante negli ultimi anni abbia investito in alternative a base vegetale, sul sito non dispone di un impegno relativo alle uova con il proprio marchio
  • Dussmann Italia, azienda leader nel settore della ristorazione collettiva e dei servizi integrati, che è tra quelle aziende che hanno rimosso la policy cage-free, rischiando così di non mantenere l’impegno preso

Chi è cage-free:

Seguono una politica cage-free, pubblicata sul proprio sito, a differenza di altri grandi marchi:

  • Aldi
  • Coop
  • Giovanni Rana
  • Ferrero
  • Barilla
  • Balocco
  • Galbusera
  • Markas
  • Gruppo Selex
  • Eataly
  • Lidl
  • Nel settore della grande distribuzione, manca all’appello Gruppo Végé, azienda che raduna oltre 31 aziende associate.

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    Nel settore alberghiero, invece, IH Hotels ed MSC Crociere rischiano di non stare al passo con alcuni competitor come Bluserena, Star Hotels, Hilton e Costa Crociere. Per quanto riguarda i produttori, Eurovo, Sabbatani e Coccodì hanno assunto un impegno fondamentale a effettuare una transizione a sistemi senza gabbie.

    All’interno delle gabbie, le galline hanno a disposizione uno spazio vitale pari a quello di un foglio A4. Senza possibilità di esprimere alcun tipo di comportamento naturale, le galline sono costrette a vivere stipate insieme agli altri animali affrontando sofferenze estreme.

    I consumatori vogliono vedere la fine delle gabbie e le aziende hanno la possibilità di avere un impatto concreto sulla vita di milioni di animali coinvolti nelle filiere. Quelle che hanno deciso di adottare e rendere pubblico il proprio impegno cage-free sono andate incontro agli attuali standard di mercato e alle opinioni dei consumatori, rispondendo a una chiara esigenza di cambiamento, spiega Ombretta Alessandrini, responsabile delle campagne di Animal Equality Italia.

    Secondo l’ultimo Eurobarometro promosso dalla Commissione Ue nel 2023, in Italia secondo il 90% degli intervistati è fondamentale tutelare il benessere degli animali allevati, soprattutto le galline ovaiole, il cui benessere è ritenuto insufficiente dal 47% degli intervistati. La stessa percentuale dichiara inoltre di essere disposta a pagare di più per prodotti provenienti da sistemi di allevamento maggiormente rispettosi del benessere animale

    Ancora non basta, dunque, per cambiare direzione?

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