Oxfam, Behind the Brands. Le maggiori multinazionali alimentari attive a livello mondiale non si impegnano a sufficienza nel mantenimento dei propri standard etici secondo il più recente rapporto di Oxfam in proposito, la quale si è occupata di stilare una classifica comprendente 10 dei marchi più noti al mondo per quanto riguarda la produzione di cibi e bevande, valutandone le strategie effettivamente attuate per la salvaguardia del pianeta e per la tutela dei lavoratori.
Quanto sono etiche le multinazionali? Ben poco risponderemmo senza pensarci. E alla stessa conclusione arriva pure l’ampio dossier stilato da Oxfarm.
Le maggiori multinazionali alimentari attive a livello mondiale non si impegnano a sufficienza nel mantenimento dei propri standard etici secondo il più recente rapporto di Oxfam in proposito, la quale si è occupata di stilare una classifica comprendente 10 dei marchi più noti al mondo per quanto riguarda la produzione di cibi e bevande, valutandone le strategie effettivamente attuate per la salvaguardia del pianeta e per la tutela dei lavoratori.
Tra di essi troviamo Nestlé, Unilever, Coca Cola, Pepsi e Mars, che occupano i primi cinque posti della “Top 10” compilata da Oxfam. Nonostante siano situati in cima alla classifica, ciò non significa che il loro impegno etico sia da considerare buono, né tantomeno sufficiente. Gli sforzi da compiere sarebbero infatti ancora molti, nonostante siano stati registrati alcuni miglioramenti. Nessuno dei brand, infatti appare con il bollino verde. Insomma, una classifica dei “meno peggio”.
Associated British Food, Kellog’s e General Mills occupano il fondo della classifica, a causa del loro impegno giudicato particolarmente scarso, soprattutto per quanto riguarda la salvaguardia di clima e terreni, oltre che il rispetto dei diritti delle lavoratrici. Le posizioni centrali della classifica vedono la presenza di Danone e Mondelez International, anch’esse con risultati per nulla brillanti dal punto di vista dell’eticità.
Nella compilazione della classifica le aziende dono state giudicate sulla base di sette categorie relative alla trasparenza delle operazioni legate alla catena produttiva ed all approvvigionamento di materie prime, alle garanzie per il rispetto dei diritti dei lavoratori, alle politiche adottate in difesa delle donne, all’impiego dei terreni ed alla gestione dell’acqua. Oltre all’impegno nella riduzione del proprio impatto sul clima ed al rispetto dei diritti degli agricoltori che si occupano della coltivazione degli alimenti utilizzati nei cicli di produzione industriale. Manca nell’indice il paratro legato all’utilizzo di animali per testare i propri prodotti. Un’indicatori che di certo avrebbe abbassato ulteriormente la percentuale.
Per quanto riguarda gli ultimi due posti della classifica, occupati da parte di Associated British Food e Kellog’s, Oxfam ha rilevato una preoccupazione completamente assente delle stesse nei confronti dei diritti degli agricoltori e delle donne, a cui dovrebbero essere rivolte maggiori opportunità lavorative. General Mills non ha saputo fornire informazioni trasparenti per quanto concerne la provenienza delle materie prime, ad eccezione dell’olio di palma.
Il commento di Oxfam ai risultati complessivi della classifica è molto chiaro. A parole ogni multinazionale è in grado di riconoscere la necessità di un sistema di produzione alimentare più giusto, equo ed etico, ed ha espresso la propria volontà di impegnarsi in tal senso, ma purtroppo, come spesso accade, alle promesse non sono seguiti sufficienti fatti concreti e passi adeguati, se non in minima parte. Le aziende che hanno raggiunto le prime posizioni non possono dunque di certo essere elogiate ed il percorso da affrontare in vista di un miglioramento nel rispetto di ambiente e diritti umani appare ancora molto lungo.
Marta Albè
Scarica qui la classifica delle multinazionali “etiche” stilata da Oxfam.
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