E’ stato nominato in un periodo caldo di appuntamenti, il nuovo Presidente dell’APER Associazione Produttori Energia da fonti Rinnovabili: a pochi giorni dal Referendum con il quale i cittadini italiani avrebbero affermato la direzione da prendere in materia di fonti energetiche, mentre il Governo decideva il destino del Paese sul tema delle rinnovabili con il “grande pasticciaccio” del Quarto Conto Energia.
È stato nominato in un periodo caldo di appuntamenti, il nuovo Presidente dell’APER Associazione Produttori Energia da fonti Rinnovabili: a pochi giorni dal Referendum con il quale i cittadini italiani avrebbero affermato la direzione da prendere in materia di fonti energetiche, mentre il Governo decideva il destino del Paese sul tema delle rinnovabili con il “grande pasticciaccio” del Quarto Conto Energia.
Agostino Re Rebaudengo, viso e portamento nobile come il cognome suggerisce, ha i toni e i modi dell’uomo che non si lascia facilmente coinvolgere dalle polemiche e dalle baruffe “all’italiana”. Formatosi all’Università degli Studi di Torino, poi alla UCLA di Los Angeles e successivamente ad Harvard, sostiene un atteggiamento riflessivo eppure deciso nei confronti della materia. Nel 1995, prima dell’eco-boom economico e mediatico, fondava Asja, azienda di cui è attualmente presidente che opera a livello internazionale nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Oggi, è portavoce di una delle principali associazioni nate per sostenere e rappresentare i diritti, gli interessi e lo sviluppo del settore delle energie rinnovabili: 480 associati tra piccole, medie e grandi imprese impegnate in tutti i settori di sviluppo (bioenergie, fotovoltaico, eolico, idroelettrico).
Il decreto Romani ha generato un vespaio di polemiche. Nel corso di questi mesi, APER ha mantenuto una linea dura nei confronti del Governo, anche motivata dallo scarso coinvolgimento al tavolo delle trattative. Il dato di fatto è che oggi siamo di fronte a un decreto ormai in corso di attuazione che avrà una serie di ricadute. Quali prospettive si delineano secondo lei per il settore delle rinnovabili a seguito di questo nuovo regime autorizzativo?
Quella di Aper in questi mesi è stata una posizione di non condivisione del metodo e per larga parte di non condivisione dei contenuti. Oggi siamo di fronte a una decisione presa, nell’ambito della quale ci sono aspetti da ritenere comunque positivi, altri meno: tra i primi, la fine del CAP cioè il limite di MW installabili nel fotovoltaico. Gli aspetti difficilmente accettabili sono il non rispetto dei diritti acquisiti e un’immagine dell’Italia di nuovo lesa nei confronti di investitori e istituti finanziari internazionali che, dopo questo ennesimo caso, scompariranno ulteriormente in veste di attori dal nostro Paese. Oggi, l’Italia si conferma di nuovo un Paese inaffidabile e anche il clean tech, settore in cui gli stranieri ancora investivano, ha perso così ogni credibilità.
A questo si aggiunge la questione delle tariffe, ambito sul quale eravamo e siamo aperti al confronto anche in vista delle discussioni che seguiranno sulle altre fonti rinnovabili. In questo decreto, si inseriscono graduatorie per gli impianti che sono un’ulteriore elemento di incertezza, in quanto legano la tariffa alla data in cui l’impianto sarà attivo: in questo modo si posticipa il momento in cui impresa e banche potranno pronunciarsi sugli investimenti, con immaginabili conseguenze sulla capacità di prendere decisioni da parte degli attori.
D’altro canto, è comprensibile il principio di condurre le tariffe verso un graduale adeguamento alle realtà e ai costi produttivi degli investimenti. Meno comprensibile se leggiamo tutto ciò in un’ottica di sistema Stato che si finanzia pagando il 50% in più di interessi rispetto ai cugini tedeschi, assunti a modello, in questo caso. Queste cifre incidono anche sull’efficienza degli impianti.
Con questo comunque cercheremo di superare quello che è successo per tentare un nuovo dialogo: perché è nostro dovere farlo, per l’industria che rappresento e per i cittadini.
Quindi non farete seguire nessun esposto nei confronti della Comunità Europea?
Su questo fronte, abbiamo deciso di dare un supplemento di fiducia al Governo, per vedere che cosa succederà nelle prossime settimane. Non ci tireremo indietro invece nella difesa dei diritti dei nostri associati, lì dove sono già in corso azioni legali come quella che vede coinvolto il TAR del Lazio.
Ci sono ancora margini di trattativa, secondo lei?
Ci sono margini ma ci sono sicuramente gli elementi. La Germania che ha deciso di chiudere con il nucleare entro il 2022 e la Svizzera che seguirà qualche anno più tardi, l’esito plebiscitario del referendum sul nucleare in Sardegna prima e nel resto del Paese, poi . Tutte queste sono indicazioni forti. Tuttavia è importante ricordare come responsabile dello sviluppo delle rinnovabili non è solo il Governo ma anche il sistema regionale, quello bancario e finanziario. È importante mettersi a ragionare seriamente a favore del Paese, dove lo sviluppo di una filiera produttiva e occupazionale e una maggiore indipendenza dalle fonti petrolifere potrebbe rappresentare un’importante chiave di volta.
In qualche modo la schiacciante vittoria dei SI al Referendum può essere interpretata come un SI indiretto della gente nei confronti delle fonti rinnovabili?
Secondo noi, questo è già molto chiaro e già sottoscritto dalla UE. Bisognerebbe che questo orientamento che, strategicamente, rappresenta una grande opportunità continui a essere portato avanti senza ulteriori guerre di trincea. Favorendo innovazione tecnologica che ci possa far diventare leader nel mondo, come un tempo è successo per l’idroelettrico.
Guardandosi indietro, c’è una relazione, secondo lei, tra una scarsa coesione e un’inefficace richiesta di ascolto da parte delle associazioni che rappresentano il settore delle rinnovabili in Italia e la decisione del Governo di portare avanti lo sviluppo dell’energia nucleare?
È un’ipotesi credibile.
In questo momento il decreto Romani ha affrontato la questione del fotovoltaico, un ambito nel quale l’Italia parte favorita potendo sfruttare un’efficienza degli impianti del 20-30% in più rispetto ad altri Paesi. Confindustria commenta però che gli incentivi a disposizione del fotovoltaico rischiano di cannibalizzare le risorse a discapito delle attività nelle altre fonti? È d’accordo?
È vero che la tecnologia del fotovoltaico si è molto sviluppata negli ultimi 12-18 mesi. Poiché APER è un’associazione che include tutte le fonti, non possiamo permetterci di parteggiare per nessuna, in assoluto. Una giusta prospettiva è per noi, quindi, quella di fare in modo che tutte le fonti abbiano pari opportunità di sviluppo.
È comprensibile poi che tra esse, si comincino a fare dei distinguo. È la stessa complessità tecnologica a far considerare il bisogno di una dialetticaall’interno del sistema. E trovo il fatto che si cominci a discutere in questi termini e non di energia rinnovabile come un tutt’uno, un segno di maturità.
Si parla spesso di modello tedesco. Quali vantaggi e quali differenze rispetto all’Italia?
A turno prendiamo a modello un Paese diverso. Io non credo che possa esistere un “copia incolla” che funzioni magicamente. Ciò che rende il modello tedesco così efficace è la coerenza nel tempo. Così come l’Inghilterra è sempre stata molto coerente nello sviluppo dei mercati finanziari, allo stesso modo la Germania ha condotto un processo di costante attenzione e sviluppo nel settore delle rinnovabili. Da noi, in tutti momenti cambiano le regole, le tariffe e questo caos non consente a un sistema di crescere in modo omogeneo.
Se il Governo non dà troppi segnali per essere ottimisti, secondo lei i cittadini stanno cambiando la propria sensibilità nei confronti dell’ambiente?
Noi italiani non siano probabilmente i più eco-coerenti. Se lo fossimo vedremmo meno persone gettare spazzatura a terra o in giro. Dall’altra parte, abbiamo una maturità e una capacità di muovere informazione, incredibile. L’esito di questo referendum lo testimonia. È come se a un certo punto negli italiani scattasse una molla. Spesso, ed è successo con il fotovoltaico, questo veloce contagio funziona anche in risposta al tipico “perché io no”. Per cui, chiunque può mettersi 25kw sul tetto, anche se questo comporta trascurare a volte valutazioni comparative rispetto ad altre tecnologie.
Quali sono le prioprità che intende affrontare in veste di nuovo presidente APER? Forte della sua esperienza al Politecnico di Torino, ci sarà un impegno a migliorare l’integrazione tra enti di ricerca e associati di Aper, affinché ci sia un’induzione di nuova tecnologia nel settore delle rinnovabili?
Nei prossimi sei mesi, la priorità è arrivare a completare il quadro dei decreti attuativi riguardanti le altre fonti rinnovabili, per avere uno scenario credibile. Dall’altra parte dovrò dedicare del tempo per organizzare una squadra di lavoro capace di rispondere alle veloci evoluzioni di questi tempi e alle nuove esigenze. In questo modo potremo essere pronti a lavorare su sfide di medio periodo. A quel punto, ci potremo concentrare su obiettivi strategici come il miglioramento della comunicazione delle nostre attività al grande pubblico e un lavoro dedicato a favorire la formazione di gruppi di acquisto tra gli associati per migliorare le opportunità di accesso congiunto ai migliori istituti di ricerca del Paese.