Nel suo nuovo libro, "Migrare in casa", la giornalista Virginia Della Sala svela il dramma dei migranti climatici in Italia, costretti a lasciare le proprie terre a causa di alluvioni e siccità. Ai microfoni di GreenMe, l'autrice ci accompagna in un viaggio nel cuore di questa emergenza
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Anche l’Italia si trova oggi ad affrontare una sfida che, giorno dopo giorno, diventa sempre più insidiosa. Non si tratta più di un’emergenza lontana, confinata a Paesi esotici o a scenari apocalittici ma di un problema che, qui ed ora, sta già costringendo migliaia di italiani a lasciare le proprie case e le proprie terre: il cambiamento climatico.
Virginia Della Sala, giornalista d’inchiesta del Fatto Quotidiano, nel suo nuovo libro “Migrare in casa“, edito da Edizioni Ambiente in collaborazione con Legambiente, racconta le storie di chi ha perso tutto a causa di alluvioni, siccità, frane, incendi e tempeste, fenomeni sempre più frequenti e intensi nel nostro Paese. Agricoltori e allevatori in ginocchio, attività turistiche a rischio, interi territori devastati: il cambiamento climatico non risparmia nessuno e ci mette di fronte a una realtà scomoda e urgente.
“Migrare in casa” è un viaggio attraverso l’Italia ferita, un’inchiesta che svela il volto nascosto della crisi climatica, quello delle migrazioni interne, un fenomeno spesso ignorato o sottovalutato.
Della Sala ci porta a conoscere le storie di chi è stato costretto a lasciare la propria casa, a cambiare vita, a cercare un nuovo futuro in un altro luogo, spesso lontano dalle proprie radici. E proprio attraverso le storie di chi è stato costretto a migrare in casa, l’autrice svela il volto umano di una crisi troppo spesso percepita come distante e astratta.
Ma “Migrare in casa” non è solo un libro di denuncia, è anche un invito a riflettere sul ruolo della politica e delle istituzioni, sulle responsabilità di chi ha il potere di agire e di cambiare le cose.
Come sottolinea Marco Travaglio nella prefazione del libro, “questo libro ha molti pregi, ma il principale è metterci fretta”. Ai microfoni di GreenMe, Virginia Della Sala ci accompagna in un viaggio approfondito nel cuore di questa emergenza.
Quanto è un problema, oggi, la migrazione climatica internazionale e nazionale?
Moltissimo. Di quella internazionale già sappiamo ampiamente: secondo l’Internal displacement monitoring centre, solo nel 2023 20,3 milioni di persone sono state costrette a fuggire a causa di fenomeni distruttivi e di rischi meteorologici. Uomini e donne si sono mossi all’interno del proprio Paese o in quelli confinanti soprattutto in Africa e in Sud America, che sono, secondo l’Unhcr, le regioni in via di sviluppo tra le più vulnerabili dal punto di vista climatico e che “ospitano l’84% dei rifugiati. Eppure, lo stesso strumento è in grado anche di dire che in Italia ci sono state decine di migliaia di spostamenti: basta selezionare il nostro Paese per accorgersi che, come spiego nel libro, dal 2008 al 2022 i nostri spostamenti interni sono stati 147mila, gran parte dei quali dovuti a eventi sismici. Selezionando però sui grafici “Alluvione”, “Movimenti di massa secca e bagnata”, “Incendio e tempesta”, il numero degli sfollati interni, temporanei e non, arriva a 28.400. Con il solo 2023, però, la quota raddoppia di botto arrivando a 71.000. Stando ai dati del Cnr-Irpi, nel 2023 gli evacuati e i senzatetto sono stati 41.687, di cui 1.694 per frane e 39.993 per inondazioni. Tra il 2018 e il 2022 erano stati la metà: 18.777.
Perché hai sentito l’esigenza di scrivere un libro sulle migrazioni interne, dovute alla crisi climatica?
È venuto naturale quando abbiamo visto i dati e soprattutto quando gli eventi climatici estremi, e quindi gli sfollati, sono diventati così tanto frequenti da non poter più essere ignorati. Si pensa che i migranti siano solo coloro che lasciano le loro case per non tornare più. Ma in realtà quasi tutti, sempre, sperano di poter tornare a casa propria e non sanno se potranno farlo. Da questo punto di vista gli italiani sfollati a ogni nuova, e sempre più ravvicinata, inondazione oppure i cittadini continuamente senz’acqua, sono dei migranti. Attuali o futuri.
Quando saremo noi migranti climatici, dove andremo?
Non si sa. È questo il grande problema del momento. Nessuno ci pensa mai.
Hai deciso di iniziare il tuo libro parlando dell’alluvione che nel ’66 si è riversata sulla provincia di Trento, per poi concentrarti su altri eventi meteo estremi. Nel farlo hai realizzato diverse interviste alle vittime o ai loro parenti. Che cosa ti hanno lasciato?
In realtà è bastato cercare un po’ per trovare decine e decine di testimonianze già lasciate e che nessuno mette mai in fila. E’ sorprendente quanto spesso tutto sia già visibile alla luce del sole ma semplicemente nessuno lo mette a sistema, per dire: “Hey, lo vedi cosa accade?” Di sicuro ciò che più mi ha colpito sono le storie degli imprenditori: se si perde il lavoro, si perde tutto. E ascoltandoli ho capito che non si parla solo di acqua che arriva alle ginocchia e di case allagate, ma di non avere più i mezzi neanche per ricostruire la casa che si è persa. Si tratta di imparare a vivere e a lavorare da zero, di costruire nuovi capannoni, di spostare strutture e strumenti che valgono milioni di euro. Di scommettere di nuovo, altrove. Ho scoperto che in questi caso anche pochi chilometri valgono come mille.
L’Italia si sta impegnando adeguatamente per gestire la sua fragilità idrogeologica, e migliorare la gestione del suolo e delle risorse idriche?
No. Si va in direzione ostinata e contraria. O al massimo si va così lenti da stare fermi. I capitoli sui piani italiani per l’adattamento e la mitigazione italiani che o sono vecchi o sono inutili o sono senza soldi o addirittura dopo anni ancora non sono completi sono i miei preferiti. La soluzione per chi ci governa? Le assicurazioni private. Ormai preferiamo essere il Paese dell’emergenza strutturale. O per dirla come uno dei professori che ho sentito nel libro: siamo il paese della Protezione Civile, dovremmo essere quello della Prevenzione Civile.
Hai voluto dedicare un intero paragrafo a Venezia, che descrivi come un caso scuola. Come mai questa scelta?
Venezia è e sarà il nostro esperimento a cielo aperto, la città per cui prima di altre si dovrà iniziare a pensare a un’alternativa. La sua conformazione non è, diciamo così, “compatibile”, con l’innalzamento del livello del mare, le mareggiate sempre più frequenti, l’erosione costiera e la subsidenza. Sono elementi che agiscono tutti e contemporaneamente sulla città della Laguna. E il Mose, secondo molti esperti, ha una durata a protezione limitata nel tempo. Qualcuno sta pensando a come ripensare la città? Pare di no. Ho provato a spiegare quali sono tutte le incognite che la riguardano.
Il tuo libro si affaccia anche all’estero, nel raccontare come saranno le città del futuro, da Amburgo a New York a Giacarta. Che cosa è emerso dalle tue ricerche?
Ho raccolto i progetti che sono stati pensati e a cui si sta pensando in giro per il mondo. Pochi sono definitivi (interessantissimo quello dell’Isola di San Charles), molti sono ancora su carta o in discussione a 360 gradi: dall’idea delle città galleggianti a paratie speciali, dalle forme di asilo climatico ai frangiflutti strategici fino a zone sopraelevate dove spostare i principali edifici. Eppure, in qualche forma, esistono e se ne discute. Qui invece, come per le città che citi, ci sono solo singole iniziative lasciate alle buone pratiche amministrative di Comuni e Regioni: nascono allora quartieri sostenibili, vasche di raccolta, qualcuno detomba qualche fiume per provare a rendere le città sostenibili. Ma a parte questo, nulla. Gli scenari attuali migliori per il futuro di molte città italiane? Bolle di calore, escursioni termiche fortissime, esondazioni sempre più frequenti, strade e costruzioni di costa pericolanti. Se non dovesse essere così (quando probabilmente non ci sarò più) sarò felice di essermi sbagliata.
Qual è la soluzione alla migrazione climatica?
Scegliere. Scegliere bene chi ci governa, pretendere che abbia un’idea chiara, un programma e un progetto organico e strutturale per il futuro dell’ambiente e delle nostre città. Banalmente, per la sicurezza dei luoghi in cui viviamo e in cui vivranno in futuro figli e nipoti. Per farlo i singoli devono per primi iniziare ad avere a cuore il proprio ambiente, anche come spazio vitale: sempre e non solo quando si va in emergenza. È molto importante informarsi. È anche vero che ormai le emergenze sono così frequenti che sarà sempre più difficile dimenticarsene…
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