Speciale europee 2024, abbiamo intervistato i candidati sulle tematiche ambientali: Giovanni Mori (Alleanza Verdi e Sinistra)

Tra pochi giorni saremo chiamati a votare alle elezioni europee e, si sa, il futuro Parlamento sarà responsabile anche delle sorti delle politiche ambientali e climatiche dell’Ue e del pianeta intero. Per aiutarvi a capire quali siano le posizioni dei diversi schieramenti su clima e ambiente, e di “votare per il clima”, abbiamo intervistato insieme a Greencome diversi candidati

Transizione energetica, città a misura d’uomo, Green deal europeo e, ancora, com’è davvero l’Europa che si vuole da qui a 15 anni alla luce delle varie Direttive, recepite e non? Lo abbiamo chiesto a 5 candidati italiani alle prossime elezioni europee in calendario sabato 8 e domenica 9 giugno 2024.

Di seguito l’intervista a Giovanni Mori, candidato indipendente con Alleanza Verdi e Sinistra.

Qual è la priorità che andrebbe portata avanti in Europa per contrastare la crisi climatica?

Non ce n’è solo una. Sicuramente si dovrebbe partire dall’indipendenza energetica e dal dire un netto addio ai combustibili fossili. Liberarsi dai combustibili fossili vorrebbe dire anche liberarsi da “dittatori” fossili e penso all’Egitto, all’Arabia Saudita, alla Libia e all’Algeria, così come alla Russia. Questa è sicuramente la priorità a livello europeo. Siamo il continente più democratico, più sviluppato al mondo, abbiamo questa opportunità gigante e se non lo facciamo non solo non risolviamo la crisi climatica, ma perdiamo anche un treno pazzesco.

Il Grean Deal varato nel 2019 ha dato vita in questi 5 anni a provvedimenti all’avanguardia per quanto riguarda l’ambiente. Andrebbe incentivato o ridimensionato? Penso anche al dibattito sulla Nature Restoration Law, per il quale l’Italia ha remato sempre contro…

Il Green Deal ha effettivamente molto diviso, ma è figlio delle piazze, del clima che respiravano nel 2019, quando parlammo per la prima volta non più di cambiamenti climatici ma di crisi climatica e facemmo un grande passo culturale in avanti. Così il Green Deal è partito bene, con buone prospettive, ma resta comunque uno strumento insufficiente a ridurre le emissioni entro il 2030. Bisogna fare di più, ma soprattutto bisogna fare meglio. Con la Nature Restoration Law, per esempio, la direzione è quella giusta, ma l’attuale direzione di Ursula von der Leyen non sostiene chi questa transizione si troverebbe a pagarla di più.

Politiche energetiche: qual è la fonte/i su cui bisognerebbe puntare a breve e a lungo termine per garantire una sicurezza energetica e raggiungere la neutralità climatica dell’intera regione al 2050?

Arrivare a emissioni nette zero è possibile farlo in Europa anche prima del 2050: abbiamo più tecnologie, siamo più ricchi, quindi possiamo farlo anche prima. È fondamentale, ovviamente, puntare sulle fonti di energia rinnovabili e avrà senso sfruttare le peculiarità delle varie regioni d’Italia. Possiamo avere tantissimo solare, tantissimi eolico e anche energia geotermica.

E nuove centrali nucleari?

Lo dice anche l’Agenzia internazionale per l’energia atomica che non ha senso costruire nuove centrali nucleari, per le quali tra l’altro ci vorrebbe tantissimo tempo. Invece il tema è spostare la marea di soldi a pianificare e gli investimenti che sono molto più facilmente realizzabili, come il solare, per esempio, che quasi mai ha ritardi e che può fornire forse addirittura il 50% dell’energia elettrica in Europa, perché ha veramente dei costi ormai bassissimi. Anche l’eolico può dare un contributo. Dal punto di vista tecnologico, quindi è utile che chi ha le centrali nucleari se le tenga, ma sicuramente non ha senso fare nuovi impianti e nuove infrastrutture.

È stato stimato che gli Stati membri dell’Unione Europea stiano attualmente impiegando tra i 34 e i 48 miliardi di euro all’anno di sussidi europei in attività che danneggiano la natura in particolar modo nelle politiche agricole incentivando allevamenti intensivi e grandi multinazionali. Questi sussidi andrebbero reindirizzati? E se sì come e dove?

Vanno sicuramente all’indirizzati. La PAC così come l’abbiamo conosciuta andava nella direzione giusta, cioè provava a spingere per una trasformazione di una agricoltura e anche prudenzialmente per un allevamento meno impattante. Ma non mettendo i soldi in quella direzione, cioè si continuava a distribuire i soldi in base alla quantità e non in base alla qualità, che non ha senso. Mentre invece è fondamentale dare più soldi, più fondi a chi fa una trasformazione che, per esempio, va a incrementare i servizi ecosistemici e che siano in grado di stoccare molto più carbonio. L’agricoltura, insomma, è uno dei principali problemi, ma è anche una delle potenziali principali soluzioni.

E quindi il futuro dell’agricoltura passa per una riduzione di…?

Beh sicuramente attraverso una riduzione di pesticidi. Sono stati fatti passi indietro negli ultimi mesi su alcune leggi, soprattutto dopo le proteste degli agricoltori. Ma quella lì è una vittoria delle multinazionali della chimica, non una vittoria degli agricoltori, questo è molto importante dirlo. Cambiando il paradigma di produzione, si possono cambiare anche poi queste cose.

A tal proposito, cosa cambierebbe della PAC appena revisionata ad aprile?

La prima cosa da cambiare della PAC è il modo in cui si distribuiscono i fondi. Quindi darli in base alla qualità e non più in base alla quantità: se tu mi fai una trasformazione migliore, più efficiente, mi fornisci più servizi ecosistemici, io devo premianti di più, devo incentivati di più e a quel punto tu devi vedere che conviene anche a te fare quella trasformazione.

Qual è il cibo con cui i cittadini europei dovrebbero sfamarsi in un futuro non troppo lontano? Qual è la sua posizione su carne coltivata, farine da insetti e i novel food in generale?

Ma va benissimo, credo siano uno strumento in più. Non penso che sarà la soluzione, non esiste un’unica soluzione nemmeno in questo caso, ma in un ventaglio di tante soluzioni sai che anche il novel food risulta fondamentale.

Come rendere più attuabili e socialmente accettate direttive come quella delle case green o lo stop alle auto a benzina che al momento sono percepite dai cittadini solo come un costo?

Il primo pezzo da fare è avere una buona informazione. Sulla direttiva case green, esattamente come sulla direttiva della transizione dai motori a scoppio, se ne sono sentite di tutti i colori. Sono i governi che devono attuare quella Direttiva e trovare poi potenzialmente i fondi, fondi europei che molto spesso noi non usiamo nella loro interezza, anzi molto poco, e soprattutto creano un terrore ingiustificato, perché vengono cavalcati, ovviamente, per fare propaganda politica. Porto un esempio che conosco: con il progetto Sinfonia, a Bolzano, hanno iniziato a efficientare le case a partire dalle case popolari, quindi persone che adesso ci vivono dentro lo facevano, magari fa più fatica a pagare la bolletta, ora si trovano il 50% in meno di bolletta, che vuol dire 50% in meno di emissioni e vivono in una casa con molto più comfort.

Secondo tema, quello dei trasporti elettrici: anche qua ci sono una marea di panzane, eppure basterebbe dire che la maggior parte delle case automobilistiche ha deciso di non vendere più motori a scoppio nuovi al 2030, mentre la normativa europea lo farà dal 2035, quindi sono assolutamente in grado di fare questa transizione entro quei tempi. L’altro aspetto fondamentale è che noi parliamo tantissimo di veicoli elettrici, ma in realtà l’assunto è che innanzitutto ci servirebbero molte meno auto ma elettriche, perché in Italia abbiamo una forte dipendenza dal veicolo privato. Ci vorrebbe, quindi, soprattutto un grande sistema di trasporti pubblici accessibili e anche un grande discorso di democratizzazione degli spazi di accessi di gente della mia generazione, che non può permettersi di comprare un’automobile o tantomeno un’automobile elettrica. Quindi, ecco il discorso sulla mobilità deve necessariamente essere più ampio, quindi ciclabilità e mobilità sostenibile nelle città, ma soprattutto il grande tema del trasporto pubblico di massa.

Infatti su cosa dovrebbero puntare le città europee per aumentare la qualità della vita dei cittadini e diminuire traffico ed emissioni?

Le città sono fondamentali e un punto è importante: se tu la transizione la vedi negli spazi in cui vivi non rimarrà un concetto astratto. Partendo da qui, quello che sarebbe necessario è restituire gli spazi alle persone, persone che vanno a piedi, persone che vanno in bicicletta, persone che si devono spostare con un passeggino e fanno fatica a fare lo slalom fra le auto, persone anziane. Per rinverdire le città, ridonare spazio pubblico, spostarsi in sicurezza, migliorare l’aria delle città, renderle più adatte ai cambiamenti climatici e renderle un posto più sicuro per chiunque voglia muoversi, bisogna prendere le decisioni urgenti e serve volontà politica per farlo. Basta copiare dalle decine di esempi di città che abbiamo dovunque nei Paesi Bassi, in Spagna, in Francia.

Quindi la città dei 15 minuti non è solo utopia?

No, sono assolutamente reali. In realtà, la maggior parte delle città, magari non Roma o Milano, sono già state progettate, pensate, disegnate per essere “Città 15 minuti” nel Medioevo. Dobbiamo farle ritornare città 15 minuti.

Tra queste 3 R (Ridurre, Riciclare, Riparare) qual è quella su cui bisognerebbe puntare di più con politiche ad hoc per una migliore gestione dei rifiuti?

Senza dubbio ridurre, perché è la prima in ordine nel trattamento dei rifiuti a livello europeo, nel senso che l’ultima cosa che dobbiamo fare in termini di priorità è la discarica.  Poi, singolarmente, tutte quelle cose che sono evitabili vanno evitate a monte e faccio l’esempio dell’acqua in bottiglia: per quanto possa avere una confezione green è comunque in plastica monouso.

Cosa le va di approfondire in ultimo?

Una cosa al volo sulle Comunità energetiche, tema di cui si è parlato tantissimo negli ultimi anni. Ma se n’è parlato tanto ma se ne sono fatte pochissime, perché si è scelto di fare una normativa molto complessa in cui un normale cittadino o cittadina si sente perso. Il nostro sogno sarebbe avere un ente unico a livello europeo che autorizzi, che aiuti, supporti nel fare comunità energetiche. Questa è la nostra idea di Europa, quella che permette, per esempio, alle persone di risparmiare energia, autoprodurre il più possibile, entrare in contatto con un nuovo sistema energetico che preveda sì di produrre energia pulita, ma in primis di produrre energia pulita il più decentralizzata possibile in maniera più democratica possibile. Quindi è davvero un cambio culturale che tecnologico che dobbiamo fare e le comunità energetiche sarebbero in teoria lo strumento perfetto per farle. È ovvio che non basteranno quelle ad alimentare tutto il sistema energetico, ma non deve essere per forza quello lo scopo. Non è solo un tema di passare in energia pulita, ma anche come produciamo l’energia e sapere quanta ne produciamo e quanta ne sprechiamo per poter utilizzare la meglio.

Le posizioni dei vari candidati riassunte in 90 secondi:

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