Sfuso e riuso: che fine hanno fatto gli incentivi statali che dichiaravano guerra alla plastica e agli imballaggi

A più di un anno e mezzo dal lancio dei bandi per negozi sfusi, sono stati assegnati solo 600mila euro sui 40milioni stanziati. Una novità assoluta per il mercato dello sfuso italiano, ma con parecchie falle e una serie infinita di limiti, tanto che ad oggi pochissimi negozi hanno ricevuto le risorse assegnate. Facciamo il punto con Ottavia Belli, Founder e CEO di Sfusitalia

A parte l’enorme produzione dei rifiuti, quello che non tutti sanno è che noi paghiamo ogni anno all’Ue una sanzione: la plastic tax europea. L’Italia dall’anno scorso versa 760milioni di euro all’anno per gli imballaggi di plastica che non ricicliamo.

Parte subito in quarta Ottavia Belli, Founder e CEO di Sfusitalia, la mappa italiana dei negozi sfusi e zero waste. Con lei scambiamo due chiacchiere sul mondo dello sfuso perché, lo abbiamo sempre detto, acquistare alla spina, dagli alimenti ai detersivi, è il migliore modo che abbiamo per ridurre drasticamente i rifiuti da imballaggio.

Leggi anche: Cibi sfusi: la mini guida per comprare alla spina (e dire addio alla plastica) senza sbagliare

Una grande occasione che si scontra, però, con la dura realtà del nostro Paese: è passato più di un anno e mezzo dal lancio dei bandi per negozi sfusi ma sono stati assegnati solo 600mila euro su 40milioni stanziati. Ad oggi, insomma, pochissimi negozi hanno ricevuto le risorse assegnate.

Allora, Ottavia, cosa manca realmente in Italia?

Manca una precisa visione d’insieme di quello che andrebbe fatto per ridurre gli imballaggi: esistono due bandi dei negozi sfusi usciti poco più di un anno mezzo fa e di cui tra l’altro nemmeno sono arrivati i soldi (è stato approntato di fatto un bando cui praticamente nessuno poteva partecipare, per limiti o per caratteristiche…), e non sono state assegnate nemmeno il 2% delle risorse.

Manca, insomma, una mano a questi negozi. Considera che non hanno un codice ATECO specifico, quindi risultano come mini-market o altri simili, e quindi pagano anche la tassa dei rifiuti come locali normali. Sborsano, cioè, 1000/1400 euro all’anno di tasse dei rifiuti come altri negozi. E ti parlo proprio dei negozi sfusi, che tendenzialmente hanno circa un 70% di prodotti sfusi.

Oltre che a una serie di contributi e tasse, al codice ATECO sono poi legate tante altre attività. Insomma, quello che sarebbe necessario è “ristrutturare” proprio dal punto di vista dell’inquadramento normativo questi negozi per poi poterli aiutare non con dei bandi spot, ma con un intervento concreto iniziale. Sgravi fiscali e riduzione delle imposte: è questo quello che serve all’inizio e che ad oggi manca in Italia. Serve cambiare normativa e a dare questi negozi il valore effettivo che hanno e serve anche tantissima comunicazione e divulgazione e comunicazione con i cittadini e le imprese per facilitare l’accesso a questo tipo di negozi.

Stessa cosa si può dire per tutta la polemica che c’è stata nei mesi scorsi su quegli operatori dei supermercati che non permettono ai clienti di usare un contenitore portato da casa. Anche in questo in Italia manca qualcosa?

Il contenitore portato da casa è possibile grazie all’articolo 7 del Decreto clima 2019 che però precisa che il negoziante può rifiutare l’uso dei contenitori da casa se li ritiene igienicamente non idonei. Ecco qui il punto: questo è un termine generico che vuol dire tutto e niente, quindi ovviamente – a costo di non prendersi una responsabilità – i supermercati si rifiutano.

All’articolo quindi manca un’integrazione della gestione delle responsabilità. Ma c’è da dire che, proprio da questo articolo, sono nati dei progetti chiamati “Spesa sballata”, gruppi di cittadini che privatamente coinvolgono degli operatori dei supermercati.

Tornando alla comunicazione, tu da dove partiresti? Se dovessi dire al consumatore medio perché è importante comprare sfuso cosa diresti per prima cosa?

Dal primo vantaggio, quello più ovvio: quello ambientale. È chiaro che nel momento in cui riduciamo il nostro impatto ambientale, riducendo i nostri rifiuti da imballaggio, c’è un enorme vantaggio. Però chiaramente questa non è la cosa che attira tutti… La cosa che attirano di più riguarda i soldi. Serve far sapere che comprando sfuso – a parità di qualità – lo sfuso costa di meno rispetto a un prodotto imballato. Non bisogna cadere nell’errore di paragonare un prodotto della GD o dei discount con un prodotto della sfuseria.

E non solo: nelle sfuserie i prodotti non trovi solo sfusi, ma un’attenzione a tutto tondo. Sono prodotti locali, di qualità e che rispettano il produttore: c’è tutta una filiera dietro di sostenibilità che è importante tanto quanto l’assenza dell’imballaggio.

Un’altra motivazione per portare le persone a comprare sfuso è anche l’impatto sociale: sostenere un piccolo negozio di quartiere vuol dire tanto per la vita del quartiere stesso. A tutto questo si aggiunge poi anche la bellezza di entrare in una sfuseria in cui il proprietario ha il tempo di parlare con te, di spiegarti da dove proviene quel prodotto e perché l’ha scelta. La ricetta, l’attenzione, le materie prime per l’autoproduzione, sono una cosa preziosissima.

Forse una migliore comunicazione potrebbe anche servire ad abbattere qualche pregiudizio sui prodotti sfusi…

Proprio così, e i pregiudizi principali sono l’igiene e il costo. In molti, senza sapere, dicono che gli sfusi siano maggiormente contaminati, potenzialmente contaminabili e che abbiano un costo maggiore.

Ma quello che dico è: quanto ai costi, dobbiamo stare attenti a paragonare solo prodotti identici. Non possiamo paragonare un prodotto che viene dal Canada e non è biologico con uno laziale proveniente da agricoltura rigenerativa, per esempio. E, soprattutto, moltissimi non sanno che i prodotti vanno comperati per il prezzo al chilo. La cosa più lampante è l’insalata: quella in busta da 0,99 costa tra i 10 e i 12 euro al chilo, quella al cespo al mercato costa 1 euro. Quindi costa 12 volte di più e non ce ne siamo mai accorti! Per una vita abbiamo pagato tantissimo i prodotti imballati.

Nelle sfuserie, ci sono prodotti che si comprano di più rispetto ad altri?

I detersivi sfusi e tutti i prodotti della casa, che in ogni caso sono quelli più distribuiti, perché il negozio che ha l’angolino dello sfuso tendenzialmente ha i detersivi sfusi. E con questo intendo anche tabaccherie, librerie, lavanderie, stirerie…

Deposito cauzionale, noi di greenMe ne parliamo spesso. Cosa ne pensi?

Dobbiamo procedere secondo la gerarchia dei rifiuti, dettata anche dall’Unione europea dal 2008. Una volta che abbiamo riprogettato e ridotto al minimo gli imballaggi, per tutti quelli che sono indispensabili e necessari e non sostituibili il deposito su cauzione risulterà fondamentale come sistema per massimizzare la raccolta differenziata e la sua qualità.

Perché la qualità della raccolta differenziata è quello che fa allungare ancora di più la vita di un materiale: più è puro, più le fibre rimangono resistenti. In tutto questo, però, l’Italia sta facendo una dura battaglia a questo sistema che invece in altri Paesi, come la Germania, ha preso piede.

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