L’identità dell’azienda Revet di Pontedera è cambiata due anni fa. Era la vigilia di Natale del 2009 quando veniva firmato il protocollo d’intesa tra Revet, Corepla e Regione Toscana con le finalità di “miglioramento e incremento del riciclaggio di rifiuti di imballaggi misti in plastica”.
L’identità dell’azienda Revet di Pontedera è cambiata due anni fa. Era la vigilia di Natale del 2009 quando veniva firmato il protocollo d’intesa tra Revet, Corepla e Regione Toscana con le finalità di “miglioramento e incremento del riciclaggio di rifiuti di imballaggi misti in plastica”.
Ventiquattro mesi vissuti intensamente durante i quali le parole suggellate all’interno di quel documento sono diventate effettiva realtà, trasformando il sistema toscano in un modello virtuoso nella gestione del processo che va dalla raccolta differenziata al riutilizzo del materiale recuperabile.
Al centro della rete di soggetti coinvolti in questa trasformazione c’è Revet, un’azienda che in pochi anni ha ribaltato il suo core business pur continuando a occuparsi di rifiuti: dalla semplice gestione alla produzione di manufatti, realizzati a partire da materia prima di seconda generazione.
Un’evoluzione naturale ma non scontata che ha visto l’azienda mettere in campo tutto il suo potenziale strategico attraverso la tessitura di una solida rete di collaborazioni e una buona dose di investimento economico. In tempi di crisi, entrambe queste azioni appaiono ai meno temerari dei veri e propri suicidi imprenditoriali. Per Valerio Caramassi, presidente di Revet si sono palesati come l’unica strada per dimostrare che è possibile passare dalla semplice raccolta differenziata al riciclo di tutte le componenti recuperabili, comprese quelle più eterogenee, per ottenere prodotti con elevato valore aggiunto.
“Per farlo, abbiamo rovesciato il classico approccio imitativo: prima siamo andati a verificare i manufatti già presenti sul mercato, ne abbiamo estratto le caratteristiche e poi abbiamo iniziato una lunga fase di ricerca allo scopo di generare prodotti industriali competitivi sia sul profilo qualitativo sia su quelli economico” racconta Valerio Caramassi. Ha i toni burberi e decisi dei toscani volitivi e con i piedi per terra. Soprattutto ha chiara una cosa: “è necessario demistificare l’idea che riciclaggio e raccolta differenziata siano la stessa cosa. L’associazione tra queste due attività dalla natura industriale molto diversa ha fatto sì che fino a ora ci si sia concentrati esclusivamente sull’incentivazione della raccolta differenziata. Lo sforzo di separare le materie è imprescindibile, certo, ma inutile se non viene seguito da un processo serio di riciclaggio”.
Creare una seconda filiera industriale dopo la raccolta non è solo dimostrazione che “si può fare”, ma soprattutto opportunità di rigenerazione economica di un territorio. Attorno alla leva mossa da Revet infatti hanno cominciato a convergere gli interessi di numerose realtà locali.
A partire dal 2010, i lunghi mesi di ricerca realizzata in collaborazione con Pont-tech istituto che collabora anche con l’Università di Pisa, hanno iniziato a tradursi in incontri con alcune aziende toscane. La novità portata da Revet sul mercato riguardava soprattutto la lavorazione delle frazioni più complesse della plastica, il plasmix , che incidono fino al 50% sulla quantità complessiva di plastica. Fino a quel momento, questo tipo di plastiche miste era in gran parte destinato ai termovalorizzatori. La loro “fragilità” materica ne limitava l’uso e la trasformazione. “Revet ha studiato un modello di lavorazione che non solo ne consente il recupero ma anche la categorizzazione a secondo della destinazione d’uso: pieno, granulare, da miscelare con altre tipologie. Abbiamo iniziato a bussare alla porta delle aziende e anch’esse hanno cominciato a riconoscere il valore della nostra proposta” commenta il Dott Caramassi, con orgoglio.
Dal 2010 sono cinque i progetti realizzati sotto il nome di “Ri-prodotti in Toscana”. La prima realtà pronta a credere alla sfida è stata Piaggio che con Revet ha realizzato le componenti plastiche di Liberty e Mp3. Qui il 30% è plastica di seconda generazione e la restante parte plastica vergine.
Successivamente è arrivata Utilplastic, azienda specializzata in casalinghi che con Revet ha alzato l’asticella producendo oggetti per la casa. Un settore di mercato fino ad allora mai toccato e che ha lasciato a bocca aperta anche i tedeschi presenti all’ultima fiera di Francoforte. Da qualche mese i cittadini toscani trovano secchi, cestini, vasi, sottovasi, fioriere, scope e palette realizzati con la plastica da loro stessi separata negli scaffali dell’Unicoop Tirreno.
Recentemente si è concretizzata anche la collaborazione con Shelbox per la produzione di persiane per case mobili. E ora si parla di partnership con aziende che producono pannelli fonoassorbenti e macchinette per i ticket ospedalieri.
Parallelamente Revet ha anche intrapreso un proprio percorso manifatturiero per la realizzazione di arredi per esterni da fornire soprattutto a enti pubblici e comuni.
E proprio sul tema del ruolo del pubblico in relazione agli acquisti verdi, Valerio Caramassi si accende. “Da ben 14 anni le aziende pubbliche sono obbligate a fare acquisti verdi, ma fino a ora nessuno aveva mai mosso un dito. È stato necessario che la Regione Toscana incentivasse questa operazione perché le cose si muovessero”.
Ed effettivamente da questa estate è aperto il bando per accedere a finanziamenti per l‘acquisto di materiale di seconda generazione. “L’intervento delle amministrazioni con sistemi di incentivazione è indispensabile per riuscire a colmare quel delta di costo rappresentato dalle inevitabili spese aggiuntive della filiera, che continueranno a essere alte fintanto che il mercato non sarà abbastanza aperto da livellare autonomamente i prezzi.Con il riciclo è necessario operare in modo simile a come si è operato per le rinnovabili” dice Caramassi.
E i prossimi passi? “Aumentare il valore aggiunto di quello che siamo in grado di recuperare; allargare la categorizzazione delle plastiche per aumentare lo spettro delle possibilità e mettere il cittadino nella condizione di poter sempre di più separare in modo efficiente, snellendo le prime operazioni della filiera meccanica”.
La figura del cittadino, oltre a quella delle stesse aziende trasformatrici, diventa centrale per l’attivazione del sistema. Non solo perché da lui parte il meccanismo di raccolta ma perché a lui torna la scelta di acquistare beni ricavati a partire dalla sua stessa fatica.
“Emerge un valore pedagogico dall’applicazione di questo modello: non a caso essa si rafforza del rapporto di vicinanza tra il luogo della raccolta, quello della trasformazione e quello della distribuzione”. Una sorta di riciclaggio a chilometri zero.
Il presidente Caramassi chiude la telefonata, pronto a re-immergersi in un’altra sfida: garantire una raccolta sempre più dedicata e puntuale del vetro. Dietro di lui c’è una scia di successi e soprattutto un sistema industriale che da più parti vorrebbero riprodurre.
Pamela Pelatelli